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Esplosione in una moschea a Kabul: 21 morti (ma non sono ucraini e non ci frega un cazzo)


Mercoledì sera c’è stata una grande esplosione in una moschea di un quartiere a nord di Kabul, in Afghanistan: sono state uccise almeno 21 persone e 33 sono rimaste ferite, tra cui alcuni bambini. Secondo diverse testimonianze, tra i morti c’è anche l’imam della moschea. L’esplosione è stata molto forte, si è sentita in tutta l’area circostante e ha rotto i vetri delle finestre di molte abitazioni del quartiere. È avvenuta durante le preghiere della sera, quindi quando molte persone erano all’interno dell’edificio.

Ma questa notizia a voi occidentali atlantisti individualisti ed egoisti non frega assolutamente niente.

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Afghanistan, centinaia di morti che non c’interessano più


Decine di persone (si parla anche di oltre 50) sono morte nell’esplosione avvenuta in una moschea sciita a Kabul. Due giorni fa, c’era stato un attentato in una scuola di Kabul che aveva fatto 25 vittime. Sono solo le ultime due stragi che sono state compiute da nemici dei Talebani in uno stato il cui Governo (Talebano) non è riconosciuto da nessuno stato e solo il Qatar mantiene delle relazioni.
L’Usa, e con loro il mondo, ha deliberatamente abbandonato l’Afghanistan a se stesso.

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I Talebani vietano lo sport alle donne


Il vicecapo della commissione culturale dei talebani, Ahmadullah Wasiq, ha affermato che le donne, sotto il nuovo regime, non possono fare sport: “Sarebbero troppo visibili e questo va contro il codice d’abbigliamento dell’Islam. Anche se questo provoca contestazioni, noi talebani non abbandoniamo i nostri valori”, ha detto in un collegamento tv.

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I Talebani avanzano in Panshir


Le forze talebane si sono spinte dentro la valle del Panshir, raggiungendo il villaggio di Anabah, dove si trovano il centro chirurgico e pediatrico e il centro di maternità di Emergency. il capo della resistenza afghana contro i talebani, Ahmad Massoud, torna con un messaggio su Facebook dopo che ieri era circolata la notizia di una sua fuga in Tagikistan. “Non rinunceremo mai alla lotta per la libertà e per la giustizia”.

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Attentato all’aeroporto di Kabul


Il tanto annunciato attentao all’aeroporto di kabul è appena avvenuto. Si è sentita una forte esplosione fuori dall’aeroporto di Kabul, si è trattato di un attentato suicida che ha provocato molte vittime, ma ancora non ci sono numeri. Dopo una prima esplosione, ne sono seguite altre tre, che hanno sfruttato l’assembramento iniziale per massimizzare le vittime. Dietro l’attentato c’è l’ISKP, lo Stato Islamico della provincia del Khorasan, territorio al confine afghano con il Pakistan, è sigla che ha firmato, dal 2015 in avanti, tutti i principali attentati a Kabul.

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Afghanistan: caos all’aeroporto di Kabul e nel resto del Paese


Le luci dei riflettori sono puntati sulla capitale ma ci sono evacuazioni in corso a Herat, Mashhad e in altre province.

La situazione allo scalo della capitale è peggiorato nelle ultime ore. Sarebbero morte almeno tre persone. “Pandemonio assoluto”

Il fratello dell’ex presidente Ghani giura fedeltà agli estremisti. Il leader dei talebani, Abdul Ghani Baradar è a Kabul per formare il nuovo governo. Erdogan e Putin discutono della crisi: anche Merkel chiama il presidente turco.

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Dopo 20 anni di missione Usa, i Talebani riconquistano l’Afghanistan in una settimana


I talebani, dopo aver conquistato la città chiave di Jalalabad, hanno reso noto di aver circondato Kabul. Ai combattenti è stato ordinato di evitare violenze e consentire un passaggio sicuro a chi vuole andarsene. Bandiere taliban davanti al palazzo dell’università. Il ministero degli Interni del governo Ashraf Ghani sta negoziando in vista di quella che viene definita una “transizione pacifica”: nelle prossime ore lascerà il potere a un governo ad interim guidato dai taliban. Secondo fonti diplomatiche sarà l’ex ministro dell’Interno afghano ed ex ambasciatore in Germania, Ali Ahmad Jalali, a guidare il governo di transizione. A Herat nominato ministro degli affari femminili un religioso della linea dura noto per essere contrario ai diritti delle donne. Otto o nove rappresentanti delle delegazioni talebane sono attualmente all’interno del palazzo presidenziale di Kabul. Tra loro c’è Anas Haqqani, fratello del vice leader talebano Sirajuddin Haqqani.

Forse non siamo vicini alla verità quando Biden afferma “L’esercito afghano non può o non vuole tenere il Paese”. 20 anni di guerra, occupazione e “riabilitazione alla democrazia” pilotata da Usa e alleati Nato, si sciolgono in una settimana, con le autorità che di fatto consegnano il Paese ai Talebani quasi senza resistenza. Inutile dire che questa transazione è emblematica della totale inutilità, del dispendio di uomini, mezzi e denaro (pagato dalle tasse dei cittadini, ricordiamolo) e probabilmente dell’iniquità dell’intervento dell’Occidente in questo Paese, che preferisce consegnarsi alla dittatura teocratica talebana (che reinstaurerà la legge della Sharia), piuttosto che tenere un governo democratico filo-occidentale.

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I Talebani avanzano: conquistate Herat e Kandahar


I Talebani hanno preso la seconda e la terza città più grandi dell’Afghanistan, Kandahar e Herat, dove fino a qualche settimana fa erano dispiegati i militati italiani. Sono così 15 i capoluoghi delle 34 province afghane caduti nelle mani dei Talebani in una settimana. Presa anche Feroz Koh, la capitale della provincia afghana di Ghor, a ovest di Ghazni. Gli Usa riducono il personale a Kabul. Il governo afghano cerca un accordo di condivisione del potere. La Ue minaccia i talebani: resterete isolati.

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Pakistan: bomba al mercato, 25 morti


Una bomba è esplosa oggi in un mercato all’aperto nel nord-ovest del Pakistan, provocando almeno 25 morti e 35 feriti. Lo hanno riferito fonti mediche e di polizia, che temono che il bilancio possa ancora aggravarsi. L’attacco è stato compiuto nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, al confine con l’Afghanistan, in un momento in cui il bazar era pieno di gente.

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Trump chiede più soldi all’Europa per la NATO


In una conferenza stampa fuori programma dopo rumors che avevano riferito di una sua minaccia a sfilarsi dall’Alleanza, il presidente americano si è detto contento dell’accordo raggiunto con i leader alleati. “Molti Paesi si sono impegnati a spendere di più” ha detto a margine del summit Nato a Bruxelles. “I presidenti americani”, twitta, “hanno provato per anni senza successo a far pagare di più la Germania e le altre nazioni ricche della Nato per la loro protezione dalla Russia” ma questi “pagano solo una frazione del costo”, invece “gli Usa pagano decine di miliardi di dollari in eccesso per sussidiare l’Europa, e perdono un sacco sul commercio!”.  E prosegue: “Tutte le nazioni Nato devono rispettare il loro impegno del 2%, e questo deve alla fine salire al 4%!””, ribadendo quello che aveva già detto ieri.

Alcuni premier europei hanno smentito, ma nessuno si è mosso contro la NATO.

I Paesi europei continuano a seguire mamma NATO per evitare l’anacronistico rischio che carrarmati russi invadino l’Europa, mentre spende soldi e occupa soldati in guerre (come l’Afghanistan) che non interessano nessuno se non gli Usa stessi.

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Strage dei Talebani a Kabul: 95 morti


Un altro spaventoso massacro perpetrato dai talebani a Kabul, il più mortifero degli ultimi anni. Un cosiddetto «martire», ossia un fanatico islamico disposto a trasformarsi in una bomba umana, si è presentato a bordo di un’ambulanza zeppa di tritolo nei pressi del ministero dell’Interno e ha innescato una potentissima esplosione: l’obiettivo era duplice, compiere una carneficina e dimostrare che l’estremismo islamico non solo è vivo e vegeto ma può colpire nel cuore stesso dello Stato afgano. Entrambi sono stati conseguiti: un bilancio purtroppo provvisorio parla addirittura di 95 morti e 158 feriti, mentre la capacità di superare i posti di blocco più muniti della capitale conferma l’estrema pericolosità dei terroristi.

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Primo effetto della visita di Trump a Riyad: terrorismo in Iran


La visita di Donald Trump a Riyad, in Arabia Saudita, avvenuta il 21 maggio scorso, a omaggiare la teocrazia assoluta dei Saud, dittatura senza eguali che fa eccezione alla bandiera dell'”esportazione di democrazia” tanto sventolata dagli Usa contro Iraq, Afghanistan, Corea del Nord, eccetera (reverenza del resto emulata da tanti leader occidentali, tra i quali Matteo Renzi), è passata nei media occidentali come “la visita in cui Melania Trump non ha indossato il velo”. Oltre alla sciatteria (forse volontaria), bisogna dire che i media non hanno saputo dirci cosa si siano veramente detti.

Ma si è scoperto il 6 giugno, quando 6 paesi arabi capeggiati dai Sauditi e dall’Egitto (successivamente seguiti da altri) hanno messo al bando il Qatar, con la motivazine (davvero ridicola) dell’appoggio qatarino al terrorismo (quando tutti sappiamo, e non lo hanno nemmeno negato, che sono i sauditi a finanziare l’Isis).

Il Qatar è un regno a prevalenza sunnita, ma con forte presenza sciita, e spartisce con l’Iran uno dei più grossi giacimenti di gas naturale del golfo Persico, nonché è uno dei paesi più ricco al mondo, al pari del Kuwait. La costante presenza militare degli Usa nel Qatar rende le cose ancora più ambigue. Ma la contrapposizione Sauditi/Iran ha prevalso. Ci si chiede allora se Trump ci sia o ci faccia, cioè se si è ingenuamente fatto persuadere dai Saud, o se sotto l’aspetto naive nasconde una strategia (quale? usare il terrorismo, proprio ciò che dice di voler combattere). Questa riflessione che stavamo elaborando (era già stata accennata ieri sul profilo Fb di Lukha B. Kremo), non è uscita in tempo perché già oggi siamo costretti ad assistere alle prime conseguenze.

L’Isis, che si sente forte dell’accordo Usa/Saud, attacca l’Iran con kamikaze e sparatorie al Parlamento e al Mausoleo di Khomeini. Ormai circondata in Siria (proprio in questi giorni c’è l’attacco finale su Raqqah), prova la strada dell’Iran.

I miei personali complimeti vanno a: Trump, paladino dell’antiterrorismo che fomenta il terrorismo, i leader occidentali, che nulla fanno per opporsi a politiche internazionali irresponsabili e naturalmente tutti coloro che li hanno votati e che sono contro l’Isis. Se volete combattere veramnte l’Isis mandate al governo uno che rompa le relazioni internazionali con l’Arabia Saudita. Altrimenti andate al supermercato e… buna fortuna!

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Allah è Grande: il Ramadan dell’Isis


Ecco la nuda croncaca degli ultimi giorni :

23 maggio: Manchester, attentato al concerto di Ariana Grande al Manchester Arena: 22 morti e 59 feriti.

31 maggio: Afghanistan, camion bomba a Kabul nel quartiere delle ambasciate: 80 morti e più di 300 feriti.

1 giugno: Kabul, 20 morti e 87 feriti in una triplice esplosione durante il funerale del figlio del vicepresidente del Senato, Alam Ezidyar.

2 giugno: Londra, sul London Bridge un pulmino ha investito i passanti. Altri civili accoltellati a Borough Market. 7 morti e circa 50 feriti.

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Ilaria Alpi, la Cia e Gladio


Abbiamo molt a cuore l’argoento Ilaria Alpi, per cui riportiamo l’articolo di “Repubblicaonline” di Manlio Dinucci che ringraziamo:

“La docu­fic­tion «Ila­ria Alpi – L’ultimo viag­gio» getta luce, soprat­tutto gra­zie a prove sco­perte dal gior­na­li­sta Luigi Gri­maldi, sull’omicidio della gior­na­li­sta e del suo ope­ra­tore Miran Hro­va­tin il 20 marzo 1994 a Moga­di­scio. Furono assas­si­nati, in un agguato orga­niz­zato dalla Cia con l’aiuto di Gla­dio e ser­vizi segreti ita­liani, per­ché ave­vano sco­perto un traf­fico di armi gestito dalla Cia attra­verso la flotta della società Schi­fco, donata dalla Coo­pe­ra­zione ita­liana alla Soma­lia uffi­cial­mente per la pesca.

In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shi­fco erano usate, insieme a navi della Let­to­nia, per tra­spor­tare armi Usa e rifiuti tos­sici anche radioat­tivi in Soma­lia e per rifor­nire di armi la Croa­zia in guerra con­tro la Jugoslavia.

Anche se nella docu­fic­tion non se ne parla, risulta che una nave della Shi­fco, la 21 Oktoo­bar II (poi sotto ban­diera pana­mense col nome di Urgull), si tro­vava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una ope­ra­zione segreta di tra­sbordo di armi sta­tu­ni­tensi rien­trate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si con­sumò la tra­ge­dia della Moby Prince in cui mori­rono 140 persone.

Sul caso Alpi, dopo otto pro­cessi (con la con­danna di un somalo rite­nuto inno­cente dagli stessi geni­tori di Ila­ria) e quat­tro com­mis­sioni par­la­men­tari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ila­ria Alpi aveva sco­perto e appun­tato sui tac­cuini, fatti spa­rire dai ser­vizi segreti. Una verità di scot­tante, dram­ma­tica attualità.

L’operazione «Restore Hope», lan­ciata nel dicem­bre 1992 in Soma­lia (paese di grande impor­tanza geo­stra­te­gica) dal pre­si­dente Bush, con l’assenso del neo-presidente Clin­ton, è stata la prima mis­sione di «inge­renza umanitaria».

Con la stessa moti­va­zione, ossia che occorre inter­ve­nire mili­tar­mente quando è in peri­colo la soprav­vi­venza di un popolo, sono state lan­ciate le suc­ces­sive guerre Usa/Nato con­tro la Jugo­sla­via, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e altre ope­ra­zioni come quelle in corso nello Yemen e in Ucraina.

Pre­pa­rate e accom­pa­gnate, sotto la veste «uma­ni­ta­ria», da atti­vità segrete. Una inchie­sta del New York Times del 24 marzo 2013) ha con­fer­mato l’esistenza di una rete inter­na­zio­nale della Cia, che con aerei qata­riani, gior­dani e sau­diti for­ni­sce ai «ribelli» in Siria, attra­verso la Tur­chia, armi pro­ve­nienti anche dalla Croa­zia, che resti­tui­sce così alla Cia il «favore» rice­vuto negli anni Novanta.

Quando il 29 mag­gio scorso il quo­ti­diano turco Cum­hu­riyet ha pub­bli­cato un video che mostra il tran­sito di tali armi attra­verso la Tur­chia, il pre­si­dente Erdo­gan ha dichia­rato che il diret­tore del gior­nale pagherà «un prezzo pesante».

Ven­tun anni fa Ila­ria Alpi pagò con la vita il ten­ta­tivo di dimo­strare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta appa­rire ai nostri occhi.

Da allora la guerra è dive­nuta sem­pre più «coperta». Lo con­ferma un ser­vi­zio del New York Times (7 giu­gno) sulla «Team 6», unità super­se­greta del Comando Usa per le ope­ra­zioni spe­ciali, inca­ri­cata delle «ucci­sioni silen­ziose». I suoi spe­cia­li­sti «hanno tra­mato azioni mor­tali da basi segrete sui calan­chi della Soma­lia, in Afgha­ni­stan si sono impe­gnati in com­bat­ti­menti così rav­vi­ci­nati da ritor­nare imbe­vuti di san­gue non loro», ucci­dendo anche con «pri­mi­tivi tomahawk».

Usando «sta­zioni di spio­nag­gio in tutto il mondo», camuf­fan­dosi da «impie­gati civili di com­pa­gnie o fun­zio­nari di amba­sciate», seguono coloro che «gli Stati uniti vogliono ucci­dere o catturare».

Il «Team 6» è dive­nuta «una mac­china glo­bale di cac­cia all’uomo». I kil­ler di Ila­ria Alpi sono oggi ancora più potenti. Ma la verità è dura da uccidere.”

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Lo Stato Islamico e l’Iraq


(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)

Situazione etnico/religiosa:
L’ISIS (o ISIL, Stato Islamico del Sud e del Levante), recentemente ridenominato semplicemente IS (Stati Islamico) è un califfato autoproclamato unilateralmente da Abu Bakr al Baghdadi (che ha preso il nome di Califfo Ibrahim), nei territori del nord Iraq. L’IS è uno stato islamico sunnita fondamentalista e jihadista. L’obiettivo finale è il jihad globale, la guerra santa dell’Islam contro tutti gli infedeli del mondo. Con un “sogno”: conquistare Roma, il simbolo della cristianità. Il califfo ha chiesto esplicitamente ai musulmani di ribellarsi ai governi nazionali (dal Nord Africa alle Filippine) in favore dell’annessione allo Stato Islamico.
Ha lo stesso progetto e lo stesso modo per perseguirlo di Al Qaeda con la fondamentale differenza del controllo sul territorio. Al Qaeda non ha mai avuto il controllo su un preciso territorio. L’Afghanistan ha rappresentato una base negli anni del regime talebano, ma Osama Bin Laden non ha mai avuto un ruolo politico durante la dittatura taliban a Kabul. Attualmente Al Qaeda ha le sue basi nelle zone tribali del Pakistan, nello Yemen orientale e in zone tribali del Sudan, ma senza veri ruoli politici statali. Le truppe dell’Isis invece sono formate da combattenti “regolari”.
Osama Bin Laden voleva un Califfato, lo immaginava come il punto di approdo di un percorso, ma per la sua nascita attendeva il momento propizio affinché ci fosse la giusta unità nel mondo islamico. Abu Bakr al Baghdadi si è invece autoproclamato Califfo dopo aver preso il controllo di alcune zone tra Siria e Iraq.
Il risultato è gli attentati e le stragi di gruppi anche molti diversi (ma accomunati dal fondamentalismo e dal jihadismo) che operano in Nord Africa sono rivendicati dall’IS. Questi gruppi sono di etnia anche molto diverse, e quasi tutti sono sunniti (con l’eccezione del rebus dello Yemen, vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita). In particolare c’è Boko Haram, che opera nel nord della Nigeria, Al Shabaab (In Somalia, Uganda e nord Kenya), il gruppo AQIM (al-Qaeda in the Islamic Maghreb), che opera nell’area Sahariana e Sub Sahariana [vedi mappa fondamentalismo islamico in Africa, a fine articolo].
Il dialogo tra Al Qaeda e IS è comunque complesso oltreché segreto. Da circa un anno, Ayman al-Zawahiri, capo di Al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, sembra abbia rotto l’alleanza con l’IS per l’eccesso di cruenza della jihad, ma soprattutto per le divergenze e gli scontri tra i gruppi di Al Qaeda in Siria (a cominciare da quelli di Jabhat al Nusra) e i miliziani dell’IS. Mentre altri gruppi (come Boko Haram) hanno reso pubblica il loro appoggio all’IS.
Situazione sul campo:
Lo Stato Islamico ha come città-base Raqqa, nel nord dell’Iraq, e attualmente ha conquistato il controllo di gran parte del nord Iraq (a esclusione di una striscia di territori curdi), la Siria orientale e un avamposto dell’Iraq centrale, poco a nord di Baghdad.
In Siria l’IS ha stretto alleanze con alcuni gruppi di ribelli sunniti, allargando la propria influenza quasi fino alla Giordania, alla Turchia e al Mediterraneo (vedi mappa dei territori occupati dall’IS, a fine articolo).
Le condizioni di Abu Bakr al Baghdadi, sembrano piuttosto gravi dopo il ferimento causato da un bombardamento. Abdul Rahman Mustafa al-Qardashi, noto con il nome di Abu Alaa al Afri è stato indicato come il prossimo Califfo e, visto che proviene da Al Qaeda, e lo scenario potrebbe cambiare con una collaborazione più stretta con i miliziani qaedisti, soprattutto quelli siriani di Jabhat al Nusra.
Gli Usa l’estate scorsa hanno guidato una coalizione internazionale in Iraq e in Siria ma gli effetti dei raid e delle operazioni militari sul terreno minimi.
I curdi, invece, hanno mantenuto le loro posizioni nel nord est dell’Iraq, perdendo posizioni solo in parte dei loro territori iracheni; hanno perduto parte dei loro territori nel nord della Siria, mantenendo però la roccaforte di Kobane.
Nelle ultime settimane l’Iran ha accresciuto il suo potenziale nella regione e sta attuando un intervento effettivo di contrasto all’ IS, tanto in Siria, quanto in Iraq, dove però i progressi iraniani si scontrano con le scelte della politica americana. Gli USA non sono disposti a concedere all’Iran questo ruolo di primo piano nella lotta all’IS, la cui condotta si intreccia con la crisi in atto nello Yemen (vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita).
Posizioni ufficiali:
Nessun governo è disposto ad appoggiare l’IS in modo ufficiale, sebbene in alcuni Paesi (tra cui l’Arabia Saudita) prevalga un Islam salafita (In Arabia wahabita, che è un’evoluzione del salafismo), ovvero fondamentalista e ci siano reali sospetti di una convenienza dell’esistenza dello Stato Islamico.
Gli Stati Uniti e parte dell’Europa stanno percorrendo in Medio Oriente, in Nord Africa e nella penisola arabica una diplomazia del doppio binario: negoziare sul nucleare con l’Iran, maggiore sostenitore di Assad insieme alla Russia (vedi scheda dell’Iran), e rassicurare con consistenti forniture di armi l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo che da anni combattono contro Teheran una guerra “segreta” in Iraq, in Siria e da qualche tempo anche in Yemen.
La Russia è pronta ad appoggiare un forum di discussione che preveda la partecipazione di tutte le parti in conflitto. Una proposta inclusiva, che è all’opposto dell’approccio esclusivo portato avanti dagli USA in Iraq e dai loro alleati arabi che continuano a bombardare lo Yemen e accusano l’Iran di inviare armi ai ribelli in Yemen.
Il governo di Baghdad (che ormai ha solo il controllo del Sud del Paese e parte del centro) è appoggiato dagli Stati Uniti, dall’Iran e dalla Russia. Il governo siriano di Assad solo dalla Russia e dall’Iran.
Ai curdi la comunità internazionale riconosce solo i diritti civili, senza appoggiare alcun progetto politico (come quello del PKK) di autonomia o indipendenza dei propri territori (anche perché si dislocano in ben 4 Paesi, Iran, Iraq, Turchia e Siria).
Accuse:
I sunniti appoggiano i gruppi jihadisti in Siria come Jabat Nusra e lo stesso Isis che dovrebbe costituire uno stato sunnita a cavallo tra Siria e Iraq per poi essere sostituito, nei piani delle monarchie arabe e della Turchia, da elementi più presentabili sul piano internazionale.
In particolare Turchia e Arabia Saudita paventano la nascita di uno Stato sunnita che occupi le attuali posizioni dell’IS e faccia da “cuscinetto separatore” tra gli sciiti iraniani e quelli siriani.
Sono noti i rapporti che intercorrono tra l’Arabia Saudita e l’IS: i sauditi infatti finanziano il Califfato dall’inizio del conflitto in Siria, oltre che foraggiare altre cellule terroristiche wahabite in tutta l’area mediorientale. Ufficialmente però il governo saudita fa parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti, di cui sono storici alleati.
Per via della guerra in Yemen (non ufficialmente appoggiata dall’Iran) e del recente accordo sul nucleare tra Usa e Iran (vedi schede dello Yemen e dell’Iran), gli Usa e la NATO stanno armando i Sauditi per tranquillizzarli e mantenere salda l’alleanza con loro. È facile quindi che gli equipaggiamenti bellici della NATO arrivino nelle mani dell’IS.
Il comando militare di Hezbollah (sciiti combattenti in Siria e Libano) e le Guardie della Rivoluzione Islamica iraniane, stanno addestrando in Iraq volontari sciiti per combattere l’avanzata dell’IS.
Commento:
L’IS si è sviluppata perché fa comodo a molti governi. Ai sunniti salafiti prima di tutto (Arabia Saudita), ma anche alla Turchia, e agli Usa. Ma usare un manipolo di fondamentalisti assassini per i propri scopi è la cosa più orribile che si possa fare. L’IS deve essere annientato come lo è stato il governo Talebano in Afghanistan. Siccome l’area è ancora più delicata, l’operazione deve essere fatta congiuntamente, da tutte le parti coinvolte.
Ma insieme al regime assassino dell’IS deve scomparire anche il doppiogiochismo di altri regimi: prima di tutti dall’Arabia dei Saud, che per allearsi con l’Occidente dovrebbe abbandonare l’ideologia fondamentalista wahabita.
L’eliminazione dell’ideologia fondamentalista è la base per la pace, ogni appoggio al fondamentalismo dovrebbe cessare soprattutto da chi professa lo stato laico. Se il fondamentalismo non ha più appoggi, ogni velleità svanisce e il delicato assetto del Medio Oriente potrà essere ricostituito sulla base dell’autodeterminazione dei popoli, dimenticando i confini disegnati suo tempo con il righello dai coloni francesi.
Previsioni:
Gli Stati Uniti troveranno un delicato accordo con Russia e Iran per una risoluzione Onu di intervento congiunto in Siria e nel nord dell’Iraq.
Il governo siriano di Bashar al-Assad dovrà quindi lasciare il posto a un governo di transizione, moderato, che accolga in parte le posizioni dei ribelli, senza perdere il proprio potere.
L’IS sarà sconfitto, ma sul terreno ci sarà una morte e una distruzione tale (anche politica e sociale) che la ricostruzione sarà molto dura. Le zone riprese all’IS si divideranno in zone di influenza (russa, usa e iraniana).
Suggerimenti:
Il migliore: 1) Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.

Mappa occupazione IS in Iraq e Siria
Mappa occupazione IS in Iraq e Siria
Gruppi fondamentalisti Islamici in Africa
Gruppi fondamentalisti Islamici in Africa

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L’Iran e gli accordi con gli Usa


(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)

Situazione etnico/religiosa:
l’Iran è lo Stato con la più alta percentuale di islamici sciiti al mondo, inoltre, è il Paese più ricco insieme all’Arabia Saudita (a stragrande maggioranza sunnita), con la differenza che ha un’economia più diversificata e quindi meno petrolio-dipendente. Le due nazioni si contendono quindi il primato islamico e acuiscono il contrasto tra sciiti e sunniti.
Durante la Guerra Fredda si era instaurato un asse Russia-Iran contro l’asse Usa-Arabia. Le alleanze sono sostanzialmente invariate, fatti i debite modifiche della situazione (per esempio Yemen occidentale, Libia e Afghanistan erano nell’influenza sovietica, ora non sono alleate con la Russia).
Solo una piccola parte nord occidentale è a maggioranza curda (al confine con Iraq e Turchia). (vedi mappa etnico-religiosa Iran e mappa sciiti nel mondo islamico, a fine articolo).
Situazione sul campo:
l’Iran è stato il primo governo del Medio Oriente a scendere in campo con lo Stato Islamico per aiutare il liquefatto esercito iracheno allo sbando sotto l’attacco dell’Isis. È ovvio che Teheran insieme agli Hezbollah libanesi (sciiti) rafforza il fronte sciita contro quello sunnita e punta a estendere la sua influenza regionale nel Golfo del petrolio sostenendo anche i ribelli Houthi in Yemen (vedi scheda Yemen e Arabia Saudita).
Nel maggio 2015 il leader siriano Bashar Assad ha incontrato il rappresentante speciale dell’Iran Ali Akbar Velayati, reduce da un colloquio con Hasan Nasrallah di Hezbollah. Le parti hanno firmato una serie di accordi nella sfera economica e in quella della lotta al terrorismo. Assad ha dichiarato che l’Iran è il principale appoggio della Siria nella lotta al terrorismo.
La notizia degli ultimi giorni è che anche la Russia ha deciso d’intervenire contro il terrorismo dell’IS (ma anche contro i ribelli siriani).
Posizioni ufficiali:
evidente l’allineamento Russia-Iran-Siria e il contrasto paesi sciiti e sunniti (contrasti dichiarati a livello ufficiale).
Più ambigui i rapporti tra l’Iran e l’Occidente. Dopo dieci anni di sanzioni internazionali, nel luglio 2015 Stati Uniti hanno da poco firmato un importante accordo con l’Iran riguardo l’utilizzo dell’energia nucleare. Israele e naturalmente tutto il mondo arabo sunnita è molto preoccupato per questo accodo. Detto ciò, va considerato che la comunità internazionale è sempre stata incapace di impedire a uno Stato un programma di sviluppo nucleare. Così è avvenuto per l’Iran, dove l’unica dissuasione possibile è stata quella delle sanzioni internazionali, strumento però che non ha frenato lo sviluppo nucleare e che, in assenza di accordi, potrebbe avere dimensioni più preoccupanti. Inoltre In Iran sono diverse le posizioni e le prospettive del leader religioso l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente della Repubblica Hassan Rouhani, quest’ultimo appartenente a un orientamento moderato e riformista, sta cercando di allargare i diritti nel suo Paese, di farlo crescere dal punto di vista economico e non ha mai nascosto la sua propensione al dialogo con l’Occidente (come del resto fa l’Arabia Saudita).
Gli accordi permettono sia a Stati Uniti e Iran di presentarsi come vincitori, i primi perché potranno contare su controlli che prima non erano possibili, i secondi perché potranno continuare a sviluppare il programma nucleare aprendosi a interessanti prospettive di crescita economica con la fine delle sanzioni.
Accuse:
l’accordo ha creato risentimenti in quasi tutti: la Russia, per lo storico rapporto prediletto con l’Iran, l’Arabia Saudita e i paesi sunniti, per l’esplicito contrasto con il Paese sciita, Israele, che teme attacchi nucleari, e in generale la comunità internazionale ha espresso preoccupazione.
L’Iran è comunque accusato di portare avanti un programma nucleare anche allo scopo di costruire armamenti e naturalmente di non rispettare i diritti civili nel proprio Paese.
Commento:
l’accordo Usa-Iran non è da vedere solo in modo negativo, il rischio che l’Iran arrivi all’armamento nucleare e che lo utilizzi anche come minaccia è remoto (il Pakistan, l’India e la Corea del Nord hanno già missili a testata nucleare, ma esiste tutta una diplomazia che ha fatti sì il nucleare non siano mai più stato usato dal 1945) anche perché dopo la successione di Hassan Rouhani al posto di Mahmoud Ahmadinejad in Iran tira aria di riformismo e di moderazione. Probabilmente questo accordo, anche se sulla carta è rischioso, potrebbe essere l’occasione giusta per recuperare i rapporti con un importante partner dello scacchiere mediorientale e allontanarlo dalle posizioni estremiste e fondamentaliste.
Previsioni:
l’Iran condurrà una guerra all’IS insieme a Russia, Stati Uniti e Francia. L’amministrazione Obama chiuderà le trattative con l’Iran e la Russia e la partita siriana lasciando un’onorevole via di uscita al regime di Assad che eviti al Paese di finire nelle mani dei radicali islamici.
Suggerimenti:
Il migliore: 1) L’Iran ammorbidisce le proprie posizioni politiche e religiose, aprendosi all’Occidente senza rinunciare alla propria autonomia e al rapporto privilegiato con Russia e Siria.
Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).

Mappa etnico-religiosa Iran
Mappa etnico-religiosa Iran
Mappa sunniti e sciiti nel mondo islamico
Mappa sunniti e sciiti nel mondo islamico

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Isis: gay giù dai tetti, roghi di libri e sigarette, vietato ridere in strada


Un articolo preso da “Lettera 43” che qundi ringraziamo e invitiamo a visitarlo.
Montagne di sigarette bruciate, roghi di libri blasfemi, persino il divieto di ridere in strada.
Ma c’è di peggio nei territori controllati dall’Isis, o Daesh, come in arabo si chiamano i jihadisti dello Stato islamico.
Omosessuali gettati dal tetto, oppositori religiosi (anche musulmani) sgozzati o crocefissi, ragazzi fucilati in pubblico per aver guardato una partita di calcio in tivù: gesti continuamente riportati – spesso per immagini – dalle cronache dei media, per loro convintamente normali.
Non solo nel Nord dell’Iraq e della Siria. L’applicazione più estrema della sharia (legge islamica), in atto tra i talebani iconoclasti dell’Afghanistan e del Pakistan – il leader del gruppo della distruzione dei Buddha è lo stesso della strage di bambini alla scuola di Peshawar – è prassi in ogni fortino o lembo di territorio controllato da gruppi dell’Isis.
DECAPITAZIONI A CATENA. Nel Califfato di Derna, in Libia, come a Raqqa, capitale siriana dello Stato islamico, le teste degli infedeli, takfir, vengono tagliate.
In Egitto, nel Sinai infestato dagli affiliati di al Qaeda, casa madre ripudiata dall’Isis, si rapisce e decapita come nella Cabilia algerina, di rimpetto al Mediterraeno.
O a Sud, nel Mali dove le teste dei tuareg finiscono sui banchi del mercato. In Nigeria, i jihadisti pro Isis di Boko Haram massacrano migliaia di civili.
Da Mosul, capitale irachena dell’Isis, è rimbalzato il tweet con la foto di un omosessuale gettato dal tetto per sodomia, davanti a una folla di voyeur partecipi. O se non altro testimoni della sua morte.
Coperto da un passamontagna l’uomo è precipitato nel vuoto dopo che, a terra, un jihadista incappucciato aveva letto la sentenza delle corti islamiche.

ISIS gay
ISIS gay

Non è la prima volta. Dopo la proclamazione del Califfato, nel giugno 2014, lo Stato islamico ha regolarmente giustiziato gay, lanciandoli dagli edifici o lapidandoli.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organo di propaganda dei ribelli con base a Londra, ha denunciato la morte a pietrate di due ragazzi, a Deir Ezzor, per «atti indecenti con i maschi».
Diverse lapidazioni sono state compiute dall’Isis, in Siria e in Iraq, su donne accusate di adulterio, giustiziate anche dai qaedisti rivali di al Nusra.
Altre decine, almeno 150 secondo il ministero per i Diritti umani di Baghdad e in maggioranza curde-yazide, sono state vittime di esecuzioni, nella provincia irachena di Anbar, per il loro rifiuto di sposare i jihadisti dopo la deportazione e riduzione in schiavitù.
Un rapporto delle Nazioni unite ha confermato che nello Stato islamico le donne vengono rapite e rivendute come schiave: l’Isis ha anche pubblicato un tariffario.
E in Rete è circolato un video di una donna accusata di adulterio a Hama, nella Siria centrale, lapidata dal padre con i jihadisti. «Ciò che succede adesso è il risultato di quello che hai fatto», rivendicano i boia.
La lapidazione è una sentenza autorizzata ed eseguita in Stati islamici di stretta interpretazione wahabita del Corano, come l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi, lo Yemen, il Sudan, la Somalia e la Nigeria.
Le vittime sono, in genere, donne punite per l’adulterio o la gravidanza fuori dal matrimonio, anche nei casi di stupro.
Oltre alle lapidazioni, il medesimo gruppo ha diffuso in Rete le notizie di oppositori, anche musulmani, giustiziati e talvolta crocifissi, per essersi rifiutati alla conversione o per altri reati.
Diversi cittadini dello Stato islamico sono stati esposti crocifissi, alla mercé della folla.
È il caso di alcuni «ladri di Mosul» o di una presunta «spia anti-Isis» di Aleppo, legata sulla croce, sgozzata dal boia e da lì trasportata in strada, come in processione, come ha documentato il sito di intelligence Site, che monitora i network islamisti.
Online, l’Isis ha diffuso un suo «codice penale» che prescrive la pena di morte per blasfemia, sodomia e spionaggio, anche se pentiti. Lapidazione per l’adulterio. Morte e crocifissione per omicidi e rapinatori.
Per reati come il tradimento prematrimoniale «100 frustate e l’esilio». Per piccoli furti e frodi varie vale la legge del taglione (amputazione di una mano e/o una gamba). Decine di frustate per chi invece beve alcolici, si droga, diffama o si diverte.
Ad Aleppo, in Siria, i jihadisti hanno spaccato gli strumenti musicali e bastonato i loro possessori.
In Libia, chi è in fuga da Derna racconta di «montagne di sigarette bruciate e del divieto di ridere in strada dei folli dell’Isis».
Un soldato è stato decapitato e i drogati o chi beve sono incatenati e frustati nei centri di disintossicazione.
Non aiuta a frenare il flusso dei sunniti nell’Isis l’invito alle donne del vice premier turco, moderato islamico Bülent Arinç (Akp), di «non ridere in pubblico».
E su quest’ultimo divieto ci sarebbe da riflettere: un regime che vieta di ridere in pubblico sa, profondamente, che c’è solo da piangere.

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Rap femminile? Sì, dall’Afghanistan!


Sosan Foirooz, rapper aghana
Sosan Foirooz, rapper aghana
Essere un rapper in Afghanistan non è facile.
Se poi si è donna sembra impossibile.
Sosan Firooz è una rapper afgana di 23 anni che ha deciso di sfidare le regole del suo Paese e i suoi parenti, che hanno chiuso i rapporti con lei perché compare in tv e canta (in Afghanistan esibirsi in pubblico è vietato alle donne).
L’unico a sostenerlo è il padre Abdul che ha addirittura lasciato il lavoro per accompagnarla e proteggerla, probabilmente riconoscendo l’importanza a livello sociale e anche la pericolosità della scelta della figlia.
Durante una intervista in occasione del lancio del suo primo singolo in lingua dari Our Neighbours, Sosan invita a rimanere nel proprio Paese: “Rimanete qui perché quando sarete rifugiati, desidererete solo baciare la terra della vostra patria”.

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Chi è Julian Assange


Dossier Personaggi Parte IV.
Veniamo all’attualità più scottante. Perché la gente convinta che esista un Ordine Mondiale (o qualcosa di simile) trovi il suo vero “eroe”, evitando di perdere tempo dietro a certi cialtroni complottisti. Sto parlando di Julian Paul Assange.

Julian Assange
Julian Assange

Assange Nasce a Townsville, nel Queensland, nel 1971. Fin da adolescente mostra le sue doti informatiche ed entra nel mondo dell’hacking. Dai 17 anni, dopo aver frequentato 30 scuole diverse, Julian assume lo pseudonimo di Mendax e mette in piedi gil gruppo di hacker International Subversives. Grazie ai software da lui sviluppati, il gruppo s’infiltra nei siti informatici di Nasa, Pentagono, Dipartimento della Difesa Usa e molti altri.
Nell’ottobre del 1989, alla vigilia del decollo della navicella Atlantis, i tecnici della Nasa vedono comparire sui computer la scritta WANK, acronimo inglese di Worms Against Nuclear Killers.
Nel 1991 subisce un’irruzione nella sua casa di Melbourne da parte della polizia federale australiana, secondo l’accusa di essersi infiltrato in vari computer appartenenti a un’università australiana e nel sistema informatico del Dipartimento della difesa americano. Nel 1992 gli vengono rivolti 24 capi di accusa di hacking. Assange è condannato, ma in seguito è rilasciato per buona condotta, dopo aver pagato una multa di 2100 dollari australiani.
Nel 1995 rilascia il programma Strobe, software open-source dedicato al port scanning. Nel 1997 collabora alla stesura del libro Underground: Tales of Hacking, Madness and Obsession on the Electronic Frontier. Si mette a studiare fisica e gira il mondo.
Ma è a partire dalla seconda metà degli anni Duemila che il suo nome compare sesmpre più spesso nelle cronache mondiali. Dal 2007, infatti, è tra i promotori del sito web WikiLeaks.
Il termine “to leak”, (letteralmente, trapelare) significa rendere pubblica un’informazione senza autorizzazione ufficiale, nonostante gli sforzi per tenerla segreta. Assange dichiara: “I nostri bersagli principali sono i regimi oppressivi come la Cina, la Russia, e dell’Asia Centrale. Ma ci aspettiamo di essere d’aiuto anche per chi in Occidente vorrebbe che fossero denunciati comportamenti illegali e immorali dei governi e delle grandi società”. L’interfaccia è simile a quella di Wikipedia, ed è usabile da qualunque tipo di persona. In breve riceve più di un milione di documenti, tutti provenenti da fonte anonime.
Uno dei primi documenti che mettono in vetrina è il regolamento di Guantanamo. Segue la denuncia per l’approssimazione degli studi sul riscaldamento globale. Poi è la volta della Julius Baer Bank, l’istituto privato di Zurigo che li querela ottenendo la chiusura del sito. La sentenza scatena un effetto boomerang: vecchi e nuovi media fanno fronte comune, sostenendo il ricorso in tribunale. Così la sentenza viene ribaltata, WikiLeaks torna on line, e la banca rinuncia all’azione legale.
In seguito WikiLeaks tocca la multinazionale di trading petrolifero Trafigura, accusata di aver scaricato in Costa d’Avorio rifiuti tossici, Scientology e la massoneria. Arrivano le prove dei massacri in Kenya (grazie alle quali vincono il Media Award 2009 di Amnesty International). E infine, Collateral Murder, lo sconvolgente video in cui si vedono i piloti dell’elicottero Apache che dopo aver scambiato per dei lanciarazzi i lunghi teleobiettivi delle macchine fotografiche di Namir Noor Eldeen, reporter dell’agenzia Reuters a Bagdad, hanno aperto il fuoco uccidendolo insieme ad altre 10 persone. Dopo il clamore suscitato dal filmato, viene arrestato il soldato americano Bradley Manning con l’accusa di avervi fornito centinaia di files top secret a WikiLeaks.
Il 28 novembre 2010, dopo l’annuncio nelle settimane precedenti, WikiLeaks rende di pubblico dominio oltre 251.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come “confidenziali” o “segreti”. Il giorno seguente, il general attorney dell’Australia, Robert McClelland, dichiara alla stampa che l’Australia è intenzionata a investigare sulle attività di Assange e di Wikileaks.
I file riservati danno un’immagine devastante della guerra e del suo stato di fallimento in Afghanistan: viene nascosto il vero numero delle vittime civili, mentre l’intelligence pakistana lavora al fianco di Al Qaeda per progettare attacchi, i talebani usano i missili Stinger che la Cia fornì ai mujaheddin di Osama Bin Laden, le truppe Usa utilizzano droni automatici scadenti e rischiosi, la Cia ha finanziato l’intelligence afghana.
La Casa Bianca ha replicato che Wikileaks non è un fornitore oggettivo di notizie, ma piuttosto un’organizzazione che si oppone alla politica americana in Afghanistan.
“Casualmente”, proprio dieci giorni prima, il 18 novembre 2010 (ma dopo gli annunci), il tribunale di Stoccolma spicca un mandato d’arresto nei suoi confronti con l’accusa di stupro, molestie e coercizione illegale. Il reato contestatogli sarebbe quello di aver avuto rapporti sessuali non protetti, seppur consenzienti, con due donne, Anna Ardin (militante femminista, segretaria dell’associazione Brotherhood Movement e autrice di una Guida alla vendetta contro il partner, pubblicata sul web) e Sofia Wilén, e di aver successivamente rifiutato di sottoporsi a un controllo medico sulle malattie sessualmente trasmissibili, condotta considerata criminosa dalla legge svedese. La denuncia era stata fatta dalle due ex amanti dopo che aver appreso l’una dall’altra di aver avuto rapporti sessuali con lui.
La vicenda ha del ridicolo se confrontata con la “portata” delle dichiarazioni di WikiLeaks, e si commenta da sola, ma l’Interpol si mette in moto.
Il 7 dicembre Assange si presenta spontaneamente negli uffici di Scotland Yard e viene arrestato, il tribunale respinge la richiesta di libertà provvisoria su cauzione e lo tiene in carcere fino al 14 dicembre. Nel frattempo la Svezia presenta una richiesta di estradizione alle autorità britanniche: secondo alcune fonti, tale richiesta sarebbe finalizzata ad estradarlo in realtà negli Stati Uniti dove lo attende un processo per spionaggio. E noi non ne dubitiamo. L’accusa per spionaggio, negli Stati Uniti, può costare l’ergastolo e anche la pena di morte.
Assange viene rilasciato su cauzione, e la decisione sulla richiesta di estradizione rimandata.
Il 2 novembre 2011 l’Alta corte di Londra dà il via libera all’estradizione richiesta dalla Svezia, e a metà giugno 2012 la Corte Suprema britannica rigetta definitivamente il ricorso contro l’estradizione. Assange si rifugia subito dopo presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, chiedendo asilo politico come perseguitato. Il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, conferma la concessione dell’asilo, per evitare la sua consegna alla Svezia. Già nel 2010 Quito aveva offerto ad Assange residenza in Ecuador “senza precondizioni”, per poter “esprimersi liberamente”. Alla base vi è il fatto che il governo di quel paese era preoccupato per alcune attività illegali degli americani in Ecuador; attività che voleva che venissero trattate da Assange senza restrizioni e che WikiLeaks si era detta pronta a documentare.
Rileggi dalla Parte I.
Vai alla Parte V: Nikola Tesla.

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In Siria si continua a morire in strada


E l’ONU cosa fa? Niente.
Perché allora in Libia si è intevenuti? Per il petrolio.
Bisogna imparare a capire che, per quanto l’Onu sia nata per evitare invasioni di nazioni straniere e garantire i diritti civili, le pressioni di altri organismi internazionali e militari prendono le vere decisioni a livello mondiale.
Chiamare “missioni di pace” gli interventi in Libia, Afghanistan e Iraq è come chiamare sazietà il pranzo. In pratica della guerra si tiene conto solo della sua fine: il trattato di pace.
Ma è giusto che riflettiate su questo: la guerra alla Libia aveva lo scopo primario di garantire una pace necessaria alla stipula di accordi economici prevalentemente petroliferi, secondariamente quello di evitare invasioni di immigrati in Europa e, tre piccioni con una fava, garantire i diritti civili dei libici. Inutile dire che grazie al terzo scopo (in ordine di importanza per la Nato) la Nato ha avuto più consensi dell’opinione pubblica che per altre guerre, ma non dimentichiamoci che gli scopi primari sono altri e che avrebbero fatto anche se l’opinione pubblica fosse stata contrarissima (come è già avvenuto nella Seconda Guerra dl Golfo con addirittura il dissenzo dell’Onu).
Tutto molto semplice, per questo in Siria si continuerà a morire per delle idee per molto tempo (lo si sta facendo da aprile).

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Quanti sono i morti dell’11 settembre?


10 anni dopo gli attentati dell’11 settembre siamo nuovamente assaliti dalle tragiche immagini cicliche e dalle banalità. Lukha Kremo Baroncinij ci tiene a precisare che NON SI RICORDA DOVE ERA QUEL GIORNO e che l’ha saputo la sera, dopo che la tragedia era ormai finita da ore.
Detto questo, facciamo una preghiera per tutti i morti che seguono:

Vittime degli attentati dell’11 settembre: 2983 + 19 attentatori: 3002

Vittime della Guerra in Afghanistan: 2001-2011

Soldati NATO, dell’esercito afghano e dell’Alleanza del Nord: 4400 circa
Combattenti talebani: stime da 8500 in su.
Vittime civili: stime da un minimo di 1000 fino a 5000 solo durante l’invasione del 2001.

Vittime della guerra in Irak: 2003-2007

Soldati della coalizione: 4588
Soldati iracheni: tra 7600 e 10800
Forze di sicurezza del nuovo governo iracheno (soldati e poliziotti): 6786
Civili non iracheni e (compresi giornalisti): poco più di 1000
Civili iracheni: questo dato è molto difficile da calcolare, anche se potrebbe facilmente essere sopra i 100000, vi è la certezza di almeno 63000 morti.

Giusto per chiarire le proporzioni.
Oppure credete che i morti abbiano un peso, che i morti iracheni contino di meno o magari che la spettacolarità dell’evento dia maggiore dignità ai morti?

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47 morti in Pakistan: chissenefotte, erano islamici!


Un attentatore suicida adolescente ha provocato il 19 agosto la morte di almeno 47 persone facendosi saltare in aria in una moschea dove erano in corso le preghiere del venerdì a Jamrud, nel nordovest del Pakistan, vicino al confine con l’Afghanistan.
Alcune immagini trasmesse dalle televisioni mostrano i muri e il soffitto della moschea imbrattati di sangue, mentre le persone recuperano vestiti e sandali sparpagliati nei pressi della moschea in seguito all’esplosione
I media occidentali hanno dato pochissimo spazio (e spesso addirittura nullo) a questo avvenimento.
Non solo i Tg, ma anche i quotidiani hanno ignorato l’avvenimento relegandolo a un trafiletto. Soltanto pochi giorni prima un attentato esplosivo aveva causato il crollo di un hotel nella provincia pachistana del Baluchistan, con un bilancio di circa 11 persone.
“Almeno 47 morti” e “circa 11 persone” perché pare che la vita dei pachistani, come quella delle persone che abitano il cosidetto Terzo Mondo, contino decisamente meno di noi occidentali.
In questo caso, 47 morti sono molto meno importanti (per i media) dei 14 israeliani morti nell’attentato di Eilat. Non vogliamo fare confronti o esprimere intenzioni politiche: ma solo sostenere un principio democratico: che ogni uomo vale per uno.

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Guerra civile in Siria: nuove opportunità di vendita di armi e bombe


Parliamo della guerra civile in Siria, dopo il massacro di Hama, dove sono state uccise più di cento persone. Noi avevamo già segnalato la leggerezza con cui i governi occidentali e i media sembravano affrontare la questione, usando i termini di “rivolta siriana”. Ma bisognava arrivare ai massacri pubblici per convincerli di ciò che avevamo già capito da subito.
Ora, la guerra civile siriana somiglia tanto a quella libica prima dei raid della Nato.
Facciamo una previsione. Entro un mese la Nato comunicherà le nuove coordinate alle proprie flotte, che dalla Libia si sposteranno nei cieli di Siria, scaricando nuove bombe con le stesse modalità.
I segnali ci sono tutti: i governi occidentali hanno cominciato a richiamare gli ambasciatori e qualcuno ha già paventato un ultimatum.
In fondo sarebbe una nuova opportunità per vendere un sacco di materiale bellico invenduto che potrebbe risollevare un po’ la disastrosa congiuntura economico-finanziaria…
Bashar al Assad come Gheddafi, insomma: prima un normale referente diplomatico, adesso un criminale da eliminare dallo scacchiere mondiale.
Ora: immagino che chi appoggia la guerra in Irak, in Afghanistan e in Libia appoggerà anche quella in Siria e perché no in Yemen… e poi?

P.S. Ci teniamo a precisare che la nostra posizione nei confronti di Assad come per tutti i governi non eletti democraticamente, o eletti democraticamente ma che governano in modo autoritario è di totale disapprovazione.

Comunicati

Come va il mondo?


Notizie di oggi 8 maggio 2011:
* Afghanistan: Attacco talebano scuote Qandahar
* Siria: Carri armati a Baniyas, uccise 4 donne
* Egitto: scontri fra cristiani e musulmani: almeno 9 morti

L’ottimismo degli Usa e in parte europeo che si respira è ingiustificato. Ci sono collegamenti tra la primavera araba e l’annuncio della morte di bin Laden?