Continua il processo di normalizzazione del regime siriano di Bashar al-Assad. Dopo i viaggi in diversi Paesi del Golfo, il Paese viene riammesso ufficialmente nella Lega Araba, dopo 12 anni di assenza dovuti alla dura repressione delle proteste all’origine della guerra civile siriana che ancora oggi vive i suoi ultimi sussulti.
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Attacco aereo israeliano in Siria: muoiono di decine di persone
Ieri notte, Israele ha compiuto un attacco aereo nell’est della Siria contro milizie appoggiate dall’Iran, Paese alleato del regime siriano di Bashar al Assad. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani, nell’attacco sono state e uccise 57 persone (14 soldati siriani e 43 miliziani). I bombardamenti sono avvenuti in aree vicine al confine con l’Iraq.
Siria, 29 soldati turchi uccisi a Idlib
Rischio di escalation internazionale per la situazioni in Siria. Duri scontri nella notte tra le milizie governative di Assad, sostenute dalla Russia, e gli uomini di Erdogan, che appoggiano i ribelli. Convocata la Nato, mentre il governo di Ankara annuncia che non fermerà più i migranti diretti in Grecia.
Siria, la Turchia bombarda truppe di Assad
Si va inasprendo di ora in ora il conflitto tra le varie parti in causa in Turchia. Nelle prime ore del pomeriggio truppe fedeli al regime di Assad si sono avvicinate ad Afrin, l’enclave curda in territorio siriano sulla quale da giorni stanno premendo anche le forze della Turchia, che vedono nei curdi il loro principale avversario. In tutta risposta i caccia turchi hanno bombardato la strada che conduce ad Afrin, l’enclave curda nel nord della Siria.
La prossima settimana scoppia la guerra mondiale?
Dopo il bombardamento notturno deciso da Donald Trump per mezzo di 59 missili Tomahawk verso la base aerea siriana da cui era partito l’attacco chimico nella provincia di Idlib, lo scacchiere mondiale è nuovamente in fermento.
L’attacco, appoggiato dall’Europa e osannato da parte dell’opinione pubblica occidentale è avvenuto prima che si sia aperta una vera inchiesta internazionale.
Trump ha affermato che fosse nel vitale interesse della sicurezza degli Stati Uniti.
Putin sostiene che non ci siano prove che il governo siriano abbia usato armi chimiche nella provincia di Idlib, ma che ci siano prove che il diritto internazionale è stato violato dagli Stati Uniti.
Buthayna Shaaban, consigliere politico del presidente siriano Bashar al Assad, promette che la Siria e i suoi alleati risponderanno in maniera appropriata.
Infine, la Corea del Nord ha dichiarato che l’attacco degli Stati Uniti contro la Siria è un atto di aggressione intollerabile che prova più di un milione di volte quanto sia giusto che la Corea del nord continui il proprio programma nucleare.
Gli stessi analisti indicano come l’attacco alla Siria sia un segnale non solo per l’ISIS, Assad e Putin, ma anche e soprattutto per Kim Jong-un.
Questo per rimarcare il pessimo comportamento di Trump non solo in politca interna, ma anche in politica internazionale, anche se rimaniamo convinti che Assad sia il vero responsabile dell’attacco chimico. Inoltre, pare che in queste ultime ore trapelano voci che Putin cominci a essere insofferente con il suo alleato.
Ma il problema più grave sembra al momento essere l’Oriente: l’esercito degli Stati Uniti ha deciso di spostare le navi del Carl Vinson Strike Group, di cui fanno parte una portaerei con 60 aerei, una nave usata per lanciare missili e due in grado di intercettarli e 5000 soldati vicino alla Corea del Nord, minacciando l’uso della forza se Pyongyang dovesse effettuare nuovi test.
Il regime dittatoriale di Pyongyang non ha più dubbi che gli Usa e la Corea del sud stiano preparando un’invasione (e, a dire il vero, gli Usa non negano, anzi ci sono prove che l’invasione sia stata almeno progettata.)
La Corea del Nord ha già sviluppato e dispiegato almeno 7 testate nucleari, le ha installate sui suoi Scud ER, sui missili a raggio intermedio a combustibile solido. Ha completato i lavori nel terzo tunnel del sito di Punggye ad una profondità di 550 metri. Si teme che il sesto test nucleare abbia una resa esplosiva fino a 14 volte maggiore di quella avvenuta lo scorso settembre. Gli Stati Uniti mantengono permanentemente nella regione uno sniffer WC-135, per eseguire il campionamento dell’aria e rilevare possibili test.
L’incontro tra il Presidente Trump e il presidente cinese Xi Jinping ha fruttato un accordo per mettere pressione sul governo di Pyongyang e cercare di farlo desistere dalla sua politica di corsa agli armamenti atomici. Resta il fatto che la Corea del Nord non è un alleato subalterno della Cina (come la Siria per la Russia), e che potrebbe non seguire i consigli di Pechino.
Per finire in bellezza, il 15 aprile è il 105esimo anniversario dalla nascita del “presidente eterno” Kim Il-sung, nonno del leader Kim Jong-un. Un evento che verrà presumibilmente festeggiato con una maestosa parata militare presso il Mirim Airport di Pyongyang, in un meno provocatorio sfoggio di muscoli.
Ventimila civili in fuga da Aleppo
Almeno 20mila persone sono fuggite nelle ultime 48 ore dai quartieri controllati dai ribelli nella parte orientale di Aleppo, nel Nord della Siria. Le forze governative, negli ultimi giorni, stanno avanzando nell’area grazie anche ad un crollo nelle file dell’opposizione armata al regime di Bashar al Assad. La stima del numero dei fuggitivi è stata fatta dalla Croce Rossa.
Siria, sospesi i negoziati
Sono sempre più tesi i colloqui di Ginevra tra l’opposizione e il regime di Assad per porre fine alla guerra in Siria. L’inviato dell’Onu, Staffan de Mistura, ha annunciato una “sospensione temporanea”, fissando la ripresa dei contatti il 25 febbraio prossimo.
J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque
Questo è un atto di accusa. Verso tutti i governi coinvolti e i loro doppi giochi. Verso le degeneri ideologie religiose, verso il colonialismo globale degli Usa e l’autoritarismo della Russia, verso i terroristi. Ma è anche un suggerimento. Perché le accuse devono essere seguite da ipotesi costruttive.
Dopo questa introduzione, leggetevi le schede proposte (linkate), complete di esaustive cartine.
Per scelta, questo articolo NON comprende alcune teorie dietrologiche anche se assolutamente valide, ma si attiene soltanto ai FATTI.
La chiave di lettura del disassetto del Medio Oriente e non solo e il conseguente esodo di questi giorni è la contrapposizione di quattro poteri forti: gli Stati Uniti, la Russia, l’Islam sunnita e quello sciita.
Durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica era alleata con gli sciiti, con l’Asse Urss-Iran. Discorso analogo l’alleanza tra Usa e sunniti, con l’asse Usa-Arabia Saudita, con la complicazione dal rapporto privilegiato Usa-Israele. I rapporti economici tra Israele e Sauditi anticipavano già le contraddizioni odierne, acuitesi dopo la fine della (prima) Guerra Fredda.
Una volta caduto il tabù della guerra nucleare tra superpotenze, la politica estera degli Stati Uniti è cominciata via via a essere sempre più “rilassata” nei confronti di nazioni che prima appartenevano al blocco sovietico (Europa dell’Est e Iran).
In Europa il frettoloso allargamento della NATO (che ha inglobato le repubbliche baltiche Lituania, Estonia, Lettonia) fino ad avviare trattative con l’Ucraina, ha aggravato il contrasto etnico tra ucraini e russi all’interno del Paese. Naturalmente la Russia è risentita dell’atteggiamento degli Stati Uniti che continuano a sanzionarla.
(Vedi la scheda “Ucraina”).
Nel frattempo lo scontro tra sunniti e sciiti si è aggravato per due motivi: l’allentamento delle alleanze con gli alleati storici, ma soprattutto l’avanzamento di ideologie salafite (e quindi fondamentaliste e jihadiste) in tutto il Medio Oriente. Le conseguenze sono state più estreme del previsto: 11 settembre, Al Qaeda e Stato Islamico hanno fatto in modo che Russia e Stati Uniti si trovassero coinvolti unitamente nello stesso punto strategico: la Siria e l’Iraq.
(Vedi le schede “Siria”, “Stato Islamico e Iraq”).
Lo scontro tra sciiti e sunniti però si gioca tra Arabia e Iran e la scintilla è scoccata con la guerra in Yemen (Vedi le schede “Yemen e Arabia Saudita” e la scheda “Iran”).
La partita oggi si gioca in 4 e le vecchie alleanze non hanno più l’esclusività di un tempo (ci sono alleanze incrociate, temporanee o ambigue). Resta alla periferia dal gioco la disastrosa situazione in Libia (vedi la scheda “Libia”) e l’annosa questione tra Israele e Palestina (che qui non affrontiamo in quanto lo abbiamo fatto già atre colte).
Nella varie schede ho descritto sommariamente, ma in modo accurato con cartine molto precise, la situazione etnica e religiosa, quella delle forze in campo, le alleanze ufficiali e le accuse reciproche a ogni attore politico. Questa parte è composta solo da fatti, nessuna opinione, né personale né dietrologica è contemplata. La schede terminano con un commento personale super partes e dei suggerimenti personali, questi sì ideologici.
Come potrete comprendere leggendo le schede, i governi sono interessati soprattutto ai vantaggi economici, le democrazie mettendo in primo piano solo i diritti civili dei propri cittadini, i regimi nemmeno questo.
L’Onu persegue la vecchia politica dell’integrità nazionale (come nel congresso di Vienna del 1815), mettendo in secondo piano il principio di autodeterminazione dei popoli.
Per perseguire entrambi questi principi termino questa introduzione con l’esempio del Libano.
Il Libano è sempre stato abbastanza stabile, vista l’assenza di una netta maggioranza sciita o sunnita all’interno del Paese. Il potere è distribuito ugualmente: il presidente del governo libanese deve essere un cristiano, il primo ministro un sunnita e il portavoce del parlamento uno sciita. I conflitti si concentrano principalmente nel nord del Paese, ai confini con la Siria, dove il gruppo militante sciita degli Hezbollah sostiene il governo di Bashar al-Assad.
La chiave sciiti contro sunniti e dei loro vecchi alleati, spiega solo in parte lo scontro nel e sul Golfo. Spiega ancor di più, e meglio, un’altra chiave di lettura: la crisi di legittimità dei poteri e la conseguente crisi ideologica.
Lukha B. Kremo, 11 settembre 2015
Lo Stato Islamico e l’Iraq
(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)
Situazione etnico/religiosa:
L’ISIS (o ISIL, Stato Islamico del Sud e del Levante), recentemente ridenominato semplicemente IS (Stati Islamico) è un califfato autoproclamato unilateralmente da Abu Bakr al Baghdadi (che ha preso il nome di Califfo Ibrahim), nei territori del nord Iraq. L’IS è uno stato islamico sunnita fondamentalista e jihadista. L’obiettivo finale è il jihad globale, la guerra santa dell’Islam contro tutti gli infedeli del mondo. Con un “sogno”: conquistare Roma, il simbolo della cristianità. Il califfo ha chiesto esplicitamente ai musulmani di ribellarsi ai governi nazionali (dal Nord Africa alle Filippine) in favore dell’annessione allo Stato Islamico.
Ha lo stesso progetto e lo stesso modo per perseguirlo di Al Qaeda con la fondamentale differenza del controllo sul territorio. Al Qaeda non ha mai avuto il controllo su un preciso territorio. L’Afghanistan ha rappresentato una base negli anni del regime talebano, ma Osama Bin Laden non ha mai avuto un ruolo politico durante la dittatura taliban a Kabul. Attualmente Al Qaeda ha le sue basi nelle zone tribali del Pakistan, nello Yemen orientale e in zone tribali del Sudan, ma senza veri ruoli politici statali. Le truppe dell’Isis invece sono formate da combattenti “regolari”.
Osama Bin Laden voleva un Califfato, lo immaginava come il punto di approdo di un percorso, ma per la sua nascita attendeva il momento propizio affinché ci fosse la giusta unità nel mondo islamico. Abu Bakr al Baghdadi si è invece autoproclamato Califfo dopo aver preso il controllo di alcune zone tra Siria e Iraq.
Il risultato è gli attentati e le stragi di gruppi anche molti diversi (ma accomunati dal fondamentalismo e dal jihadismo) che operano in Nord Africa sono rivendicati dall’IS. Questi gruppi sono di etnia anche molto diverse, e quasi tutti sono sunniti (con l’eccezione del rebus dello Yemen, vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita). In particolare c’è Boko Haram, che opera nel nord della Nigeria, Al Shabaab (In Somalia, Uganda e nord Kenya), il gruppo AQIM (al-Qaeda in the Islamic Maghreb), che opera nell’area Sahariana e Sub Sahariana [vedi mappa fondamentalismo islamico in Africa, a fine articolo].
Il dialogo tra Al Qaeda e IS è comunque complesso oltreché segreto. Da circa un anno, Ayman al-Zawahiri, capo di Al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, sembra abbia rotto l’alleanza con l’IS per l’eccesso di cruenza della jihad, ma soprattutto per le divergenze e gli scontri tra i gruppi di Al Qaeda in Siria (a cominciare da quelli di Jabhat al Nusra) e i miliziani dell’IS. Mentre altri gruppi (come Boko Haram) hanno reso pubblica il loro appoggio all’IS.
Situazione sul campo:
Lo Stato Islamico ha come città-base Raqqa, nel nord dell’Iraq, e attualmente ha conquistato il controllo di gran parte del nord Iraq (a esclusione di una striscia di territori curdi), la Siria orientale e un avamposto dell’Iraq centrale, poco a nord di Baghdad.
In Siria l’IS ha stretto alleanze con alcuni gruppi di ribelli sunniti, allargando la propria influenza quasi fino alla Giordania, alla Turchia e al Mediterraneo (vedi mappa dei territori occupati dall’IS, a fine articolo).
Le condizioni di Abu Bakr al Baghdadi, sembrano piuttosto gravi dopo il ferimento causato da un bombardamento. Abdul Rahman Mustafa al-Qardashi, noto con il nome di Abu Alaa al Afri è stato indicato come il prossimo Califfo e, visto che proviene da Al Qaeda, e lo scenario potrebbe cambiare con una collaborazione più stretta con i miliziani qaedisti, soprattutto quelli siriani di Jabhat al Nusra.
Gli Usa l’estate scorsa hanno guidato una coalizione internazionale in Iraq e in Siria ma gli effetti dei raid e delle operazioni militari sul terreno minimi.
I curdi, invece, hanno mantenuto le loro posizioni nel nord est dell’Iraq, perdendo posizioni solo in parte dei loro territori iracheni; hanno perduto parte dei loro territori nel nord della Siria, mantenendo però la roccaforte di Kobane.
Nelle ultime settimane l’Iran ha accresciuto il suo potenziale nella regione e sta attuando un intervento effettivo di contrasto all’ IS, tanto in Siria, quanto in Iraq, dove però i progressi iraniani si scontrano con le scelte della politica americana. Gli USA non sono disposti a concedere all’Iran questo ruolo di primo piano nella lotta all’IS, la cui condotta si intreccia con la crisi in atto nello Yemen (vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita).
Posizioni ufficiali:
Nessun governo è disposto ad appoggiare l’IS in modo ufficiale, sebbene in alcuni Paesi (tra cui l’Arabia Saudita) prevalga un Islam salafita (In Arabia wahabita, che è un’evoluzione del salafismo), ovvero fondamentalista e ci siano reali sospetti di una convenienza dell’esistenza dello Stato Islamico.
Gli Stati Uniti e parte dell’Europa stanno percorrendo in Medio Oriente, in Nord Africa e nella penisola arabica una diplomazia del doppio binario: negoziare sul nucleare con l’Iran, maggiore sostenitore di Assad insieme alla Russia (vedi scheda dell’Iran), e rassicurare con consistenti forniture di armi l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo che da anni combattono contro Teheran una guerra “segreta” in Iraq, in Siria e da qualche tempo anche in Yemen.
La Russia è pronta ad appoggiare un forum di discussione che preveda la partecipazione di tutte le parti in conflitto. Una proposta inclusiva, che è all’opposto dell’approccio esclusivo portato avanti dagli USA in Iraq e dai loro alleati arabi che continuano a bombardare lo Yemen e accusano l’Iran di inviare armi ai ribelli in Yemen.
Il governo di Baghdad (che ormai ha solo il controllo del Sud del Paese e parte del centro) è appoggiato dagli Stati Uniti, dall’Iran e dalla Russia. Il governo siriano di Assad solo dalla Russia e dall’Iran.
Ai curdi la comunità internazionale riconosce solo i diritti civili, senza appoggiare alcun progetto politico (come quello del PKK) di autonomia o indipendenza dei propri territori (anche perché si dislocano in ben 4 Paesi, Iran, Iraq, Turchia e Siria).
Accuse:
I sunniti appoggiano i gruppi jihadisti in Siria come Jabat Nusra e lo stesso Isis che dovrebbe costituire uno stato sunnita a cavallo tra Siria e Iraq per poi essere sostituito, nei piani delle monarchie arabe e della Turchia, da elementi più presentabili sul piano internazionale.
In particolare Turchia e Arabia Saudita paventano la nascita di uno Stato sunnita che occupi le attuali posizioni dell’IS e faccia da “cuscinetto separatore” tra gli sciiti iraniani e quelli siriani.
Sono noti i rapporti che intercorrono tra l’Arabia Saudita e l’IS: i sauditi infatti finanziano il Califfato dall’inizio del conflitto in Siria, oltre che foraggiare altre cellule terroristiche wahabite in tutta l’area mediorientale. Ufficialmente però il governo saudita fa parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti, di cui sono storici alleati.
Per via della guerra in Yemen (non ufficialmente appoggiata dall’Iran) e del recente accordo sul nucleare tra Usa e Iran (vedi schede dello Yemen e dell’Iran), gli Usa e la NATO stanno armando i Sauditi per tranquillizzarli e mantenere salda l’alleanza con loro. È facile quindi che gli equipaggiamenti bellici della NATO arrivino nelle mani dell’IS.
Il comando militare di Hezbollah (sciiti combattenti in Siria e Libano) e le Guardie della Rivoluzione Islamica iraniane, stanno addestrando in Iraq volontari sciiti per combattere l’avanzata dell’IS.
Commento:
L’IS si è sviluppata perché fa comodo a molti governi. Ai sunniti salafiti prima di tutto (Arabia Saudita), ma anche alla Turchia, e agli Usa. Ma usare un manipolo di fondamentalisti assassini per i propri scopi è la cosa più orribile che si possa fare. L’IS deve essere annientato come lo è stato il governo Talebano in Afghanistan. Siccome l’area è ancora più delicata, l’operazione deve essere fatta congiuntamente, da tutte le parti coinvolte.
Ma insieme al regime assassino dell’IS deve scomparire anche il doppiogiochismo di altri regimi: prima di tutti dall’Arabia dei Saud, che per allearsi con l’Occidente dovrebbe abbandonare l’ideologia fondamentalista wahabita.
L’eliminazione dell’ideologia fondamentalista è la base per la pace, ogni appoggio al fondamentalismo dovrebbe cessare soprattutto da chi professa lo stato laico. Se il fondamentalismo non ha più appoggi, ogni velleità svanisce e il delicato assetto del Medio Oriente potrà essere ricostituito sulla base dell’autodeterminazione dei popoli, dimenticando i confini disegnati suo tempo con il righello dai coloni francesi.
Previsioni:
Gli Stati Uniti troveranno un delicato accordo con Russia e Iran per una risoluzione Onu di intervento congiunto in Siria e nel nord dell’Iraq.
Il governo siriano di Bashar al-Assad dovrà quindi lasciare il posto a un governo di transizione, moderato, che accolga in parte le posizioni dei ribelli, senza perdere il proprio potere.
L’IS sarà sconfitto, ma sul terreno ci sarà una morte e una distruzione tale (anche politica e sociale) che la ricostruzione sarà molto dura. Le zone riprese all’IS si divideranno in zone di influenza (russa, usa e iraniana).
Suggerimenti:
Il migliore: 1) Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.
La guerra civile in Siria
(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)
Situazione etnico/religiosa:
Il presidente al potere Bashar al-Assad appartiene alla minoranza degli alawiti che è una ramo degli sciiti (confessione islamica storicamente in conflitto con i sunniti). Per questo motivo è storicamente alleato con l’Iran, il paese a più larga maggioranza di Sciiti. L’Iran faceva parte dell’orbita politica Sovietica, ed è ancora oggi legata alla Russia. Di conseguenza anche la Siria (dall’altro campo, durante la Guerra fredda, la NATO era alleata con Iraq e Arabia Saudita).
In realtà in Siria la maggioranza è sunnita (vedi mappe etnica Siria e religiosa Siria a fine articolo), ma gli Sciiti occupano le zone di maggiore influenza tra Damasco e il Mediterraneo.
Gli Sciiti sono in maggioranza nell’Iraq meridionale (a sud di Baghdad), e nello Yemen nord-occidentale.
Situazione sul campo:
le proteste contro il governo di Bashar al-Assad sono cominciate al seguito delle “Primavere Arabe” nel marzo del 2011 e sono state represse con la violenza. La guerra civile (noi siamo stati tra i primi a parlare di Guerra Civile in Siria, nel 2012), tutt’oggi in corso, ha in parte contribuito a esasperare i sentimenti di odio e rancore tra sciiti e sunniti all’interno del Paese.
Nel maggio 2014 si è votato al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla possibilità di avviare un’indagine per verificare se siano stati compiuti crimini di guerra in Siria. I governi di Russia e Cina hanno posto il veto, cioè hanno usato la possibilità che gli viene data dalla Carta dell’ONU di bloccare qualsiasi risoluzione. Dall’inizio della guerra in Siria è la quarta volta che Russia e Cina usano il loro potere di veto per bloccare una proposta di azione nella guerra in Siria.
La situazione si è ulteriormente aggravata e complicata con l’avanzata dell’IS (ex ISIS) nell’Est del Paese. [Vedi mappa Stato Islamico a fine articolo, che distingue tra posizione governative, ribelli, ISIS e postazioni curde e vedi scheda dello Stato Islamico e l’Iraq]
Mentre i curdi, sebbene sunniti, si sono opposti senza ambiguità ai miliziani dell’IS perché hanno conquistato i loro territori, i territori curdi occupano la parte settentrionale dell’Iraq, una striscia settentrionale della Siria (Kobane), quella meridionale della Turchia e una minima parte dell’Iran, praticando la pulizia etnica e religiosa, i ribelli del regime di Assad si sono divisi tra gruppi che combattono l’IS e gruppi alleati con loro perché sunniti.
Siria, Iran e Hezbollah sciiti del Libano hanno firmato una serie di accordi nella sfera economica e in quella della lotta al terrorismo. Assad ha dichiarato che l’Iran è il principale appoggio della Siria nella lotta al terrorismo.
La notizia degli ultimi giorni è che anche la Rusia ha deciso d’intervenire contro il terroristo dell’IS (ma anche contro i ribelli siriani).
Posizioni ufficiali:
gli Stati Uniti e l’Europa hanno condannato a più tempi le milizia governative di Assad e sono propense per un intervento armato.
Fin dall’inizio della guerra i governi di Russia e Cina, con intensità e impegni diversi, si sono schierati apertamente a favore del regime del presidente siriano Bashar al Assad.
Ufficialmente nessuno appoggia l’ISIS, ma questi continuano a conseguire vittorie perché bene armati (vedi nelle accuse).
Accuse:
L’esercito di Bashar al-Assad ha fatto uso di armi chimiche.
Russia e Iran ammettono la vendita di armi al regime di Assad e ai walabiti.
Molti sono accusati di armare l’IS, compresi gli Stati Uniti (indirettamente). Molto probabilmente sono i Sauditi ad armare direttamente i miliziani dell’IS: l’alimentazione di un islam salafita, wahabita (fondamentalista e jihadista) [vedi la scheda dell’Arabia Saudita] e la posizione strategica (tra gli sciiti siriani e quelli iracheni e iraniani) [vedi la scheda dell’Iraq] porta un indiretto ma decisivo supporto al califfatto dell’IS mai rivendicato dei sauditi, ma neppure smentito.
Anche la Turchia fa un doppio gioco: per anni ha discriminato la minoranza curda e ultimamente ha rafforzando la lotta al “terrorismo curdo” (tra virgolette perché fino all’anno scorso reggeva una tregua con i combattenti del PKK che aveva fatto superare questa parola), favorisce indirettamente l’IS. Inoltre pur essendo membro NATO non concede le basi per raid aerei.
Commento:
Le volontà di Stati Uniti ed Europa di sovvertire il governo di Assad sono evidenti come quello di tenerlo al suo posto da parte di Russia e Cina. Questo stallo ha portato ad alimentare la guerra civile siriana e a estendere l’ISIS soprattutto nei territori dell’est della Siria.
In Siria, anche se gli alawiti occupano le terre occidentali più popolose e redditizie, sono la minoranza, per l’autodeterminazione dei popoli non dovrebbero essere da soli al governo, ma dovrebbero tenere conto delle motivazioni dei ribelli. Noi ci schieriamo con i ribelli (curdi compresi) e contro il regime di Assad, ma la ricostituzione dello stato dovrà tutelare anche gli sciiti alawiti (tranquillizzando gli alleati russi e iraniani). I curdi dovrebbero ottenere una stato indipendente a partire da Kobane.
Previsioni:
a causa dell’IS, presto Russia e Cina rinunceranno al veto per un intervento internazionale multilaterale in Siria congiunto alla NATO, che però non sia mirato contro i governativi. Per far ciò si troverà un compromesso: Bashar al-Assad lascerà il posto a un alawita moderato, che accolga alcune istanze dei ribelli. In questo modo i ribelli saranno divisi tra chi accetta le condizioni del nuovo governo moderato e chi passa dalla parte dell’IS, i cui territori occupati verranno bombardati massicciamente.
Suggerimenti:
Il migliore: 1) Creare un governo di unità nazionale, equilibrato politicamente per costituzione (equilibrio alawiti e sunniti nelle istituzioni), rendere indipendente Kobane come stato curdo (eventualmente insieme ad altri piccoli stati curdi nei territori turchi, iracheni e iraniani a maggioranza curdi, in modo analogo alla Palestina).
In alternativa: 2) Secessione della Siria in due parti, nell’ovest governo alawita, nell’est annessione a uno stato sunnita moderato che prenda il posto dei territori a prevalenza sunnita (nord Iraq, est Siria) oggi occupati dell’IS.
Le necessità di Stato sono prioritarie rispetto alla vita dei bambini
No, questo non è un titolo provocatorio. E’ la disequazione che seguono certi Governi mondiali (molto di più di quanto si pensi).
Il risultato di questa disequazione è che Israele rifiuta le tregue, che i ribelli filorussi bombardano un aereo civile, che in Siria si fa un genocidio sotto gli occhi del mondo.
Ma a noi piace fare i nomi, perché di solito si nascondono dietro sigle e organizzazioni.
In Palestina sono stati ampiamente superati i 500 morti, in gran parte giovani, minorenni e bambini, e questo perché il premier israeliano Benjamin Netanyahu non punta ad annientare l’organizzazione islamica, ma a far sì che continui a governare nella Striscia di Gaza perché l’alternativa sarebbe uno stato di anarchia impossibile da controllare.
In Siria Bashar al-Assad è conscio che il suo governo è un ago della bilancia russo-statunitense e che nessuno delle due potenze (né tantomeno Europa o altri interlocutori) non possono intervenire per impedire il genocidio che questa persona autorizza a fare ai danni dei ribelli.
Il leader dei filorussi della neoproclamata repubblica di Donetsk, Alexandr Borodai, avallato dall’appoggio politico e militare di Vladimir Putin, abbattono in Ucraina deliberatamente un aereo carico di 298 civili (no, non si scambia un Boeng 777 a 10000 metri di altitudine con un caccia militare), per ottenere una no-fly zone e l’attenzione dei media mondiali.
Infine, ricordate sempre che non esistono governi canaglia, ma governi un po’ più decisionisti di altri, più ponderanti, che magari rimuginano su questa disequazione più a lungo. Prendendo l’esempio dell’Italia, uno dei governi meno guerrafondai al mondo, ricordiamo che hanno sacrificato Aldo Moro per necessità di Stato, e nel 2001 a Genova, hanno ucciso un ragazzo, Carlo Giuliani, per motivi di sicurezza di Stato.
Voi pensate con la vostra testa, analizzando la storia recente, e traete le vostre conclusioni.
Assad è un criminale di massa, la Russia è complice
L’Onu ha completato l’ispezione: in Siria il 21 agosto sono state usate armi chimiche contro i civili su larga scala, Ban Ki-moon parla di nuovo oggi dopo che sabato quando ha avuto un’anticipazione del rapporto ha detto «Assad dovrà essere processato». Non è ancora chiaro se il presidente siriano sia colpevole di questo attacco ma tutti gli indizi sembrano portare al regime, secondo le prime ricostruzioni del rapporto Onu. Per ora è certo che «l’85% dei campioni di sangue prelevati fra le vittime sono risultati positivi al sarin (gas nervino letale) lanciato con missili terra-terra (con scritte cirilliche) in Siria e usato su larga scala contro la popolazione civile con molti bambini tra le vittime. Gli ispettori hanno anche realizzato che le conseguenze dell’attacco del 21 agosto sono state “massimizzate” da due fattori: l’orario e il clima. Secondo le testimonianze i missili hanno infatti toccato terra alle prime ore del mattino, in un momento in cui le basse temperature e il vento che soffiava dall’alto verso il basso, hanno trattenuto i gas chimici contro il terreno, spingendoli nelle zone inferiori e sotterranee degli edifici dove erano rifugiati migliai di civili.
*** Guerra alla Siria? No alla colonizzazione Usa
NEOREPVBBLICA DI TORRIGLIA
GOVERNO OSCVRO
QVESITO XI
giorno 12 fruttidoro 132
* Siete favorevoli all’intervento armato in Siria degli Stati Uniti d’America?
Il Governo Oscuro ha votato così:
commento: I cittadini della Neorepubblica e il Governo Oscuro, nonostante sia consapevole che la Siria abbia e stia utilizzando armi non convenzionali chimiche, probabilmente gas nervini, è indignata del fatto che la comunità internazionale accetti la parola degli Stati Uniti sull’esistenza delle prove del loro utilizzo, aggravato dal precedente comportamento degli Usa nei confronti dell’Iraq, nel quale produsse false prove di utilizzo di energia atomica a scopo bellico da parte di Saddam Hussein. Inoltre è consapevole che la guerra in Siria sia una ghiotta occasione per gli Stati Uniti di costruire basi in un punto strategico, a protezione soprattutto di Israele (Lo sforzo per la protezione di Israele, legittimo, dovrebbe essere proporzionale allo sforzo della creazione di una stato nazionale unitario per la Palestina, anch’esso legittimo).
Come testimonia una parte dei voti, la Neorepubblica pur essendo massicciamente contro l’intervento armato, approverebbe una risoluzione Usa per non abbandonare i civili al brutale massacro del governo di Bashar al-Assad.
Siria, Mali e Libia: i tre aspetti delle “trasformazioni arabe”
In Siria continuano le stragi di civili, nelle campagne nei dintorni di Homs 106 morti tra uomini, donne e bambini dopo un raid del regime di Bashar al Assad. Ormai pare che l’80% sia in mano dei ribelli e il regime abbia i mesi contati (si parla di 6 mesi). Ma i ribelli chi sono? L’organizzazione Jahbat al-Nusra, per gli Usa vicino ad Al Qaeda, per la Turchia no, ma comunque è sicuramente d’ispirazione jihadista, quindi sempre di guerra in nome di Allah si tratta.
In Mali, infatti, l’organizzazione islamica Shabaab, contro cui la Francia è entrata in guerra, è d’ispirazione Qaedista. Lo confermano i recenti ostaggi in Somalia e Algeria. Allora ci si chiede quali siano le motivazioni dei Paesi occidentali, che fanno guerra e contemporaneamente aiutano le organizzazioni islamiche jihadiste a seconda del contesto.
La risposta è abbastanza semplice e viene dalla Libia: l’Occidente vuole la pace, meglio se democratica.
Intento nobile? Naaaa. Con la guerra non si possono fare affari, con la pace sì. Oltretutto la democrazia non è strettamente necessaria (infatti la Cina va benissimo, la si critica un po’, ma poi si fanno affari insieme: se fossimo veramente democratici avremmo posto l’embargo alla Cina). La Libia serve per il petrolio, come l’Iraq e il Kuwait, punto.
Qualcuno potrebbe comunque non vedere nulla di malvagio nel “fare affari” con Paesi del Terzo mondo, e a questo scopo viene in aiuto l’esempio di un altro Paese africano: la Nigeria. Gli affari petroliferi hanno sicuramente migliorato le condizioni dei Paesi Occidentali che lavorano in Nigeria (primi fra tutti Italia e Regno Unito), ma non hanno assolutamente migliorato le condizioni dei cittadini nigeriani, anzi, spesso è successo il contrario.
Allora a cosa serve “esportare democrazia”? A migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini dei Paesi Occidentali, che altro non sono che gli elettori di chi è al potere.
Capito il giochino? Questi sono coloro che io chiamo “abbuiati”, in contrasto e polemica con il complottista di turno.
Ah, ma in Siria c’è la guerra?
Le forze di sicurezza di Bashar al-Assad bombardano (dal cielo) la capitale Damasco, mentre si scontrano con le milizie ribelli ad Aleppo. Solo da un paio di settimane il mondo e i media meno accorti si sono resi conto che in Siria c’è una guerra civile, cosa che noi abbiamo fatto notare sin dal 25 aprile 2011, ben 15 mesi fa, chiamandola prima rivoluzione, e poi, il 1° agosto 2011, con il suo vero nome: guerra civile.
Con questo vogliamo soltanto dire che basta una maggiore attenzione a questi avvenimenti per capire di che cosa si tratta. Il valore strategico della Siria potrebbe riaccendere adirittura una nuova Guerra Fredda (ricordate? tra Usa e Russia). La possibilità c’è: noi ve lo abbiamo detto, voi continuate a pensare al calciomercato.
Siria: l’Onu ci riprova
L’Onu ha presentato una nuova bozza di risoluzione che fissa un ultimatum di dieci giorni al presidente Bashar al Assad affinché ordini il ritiro delle sue truppe e delle armi pesanti dalle città ribelli: in caso contrario la Siria sarà colpita da nuove sanzioni economiche e diplomatiche.
Il Governo Oscuro aveva già dato la fiducia all’Onu di strettissima misura (per 1 solo voto) lo scorso 30 piovoso (19 febbraio), dimostrandosi quindi già poco convinta. La nuova bozza non differisce nell’essenza da quella di 5 mesi fa e quindi Lukha B. Kremo ha deciso di tenere buona la votazione precedente.
La neorepubblica di Torriglia conferma la fiducia “al pelo” alla risoluzione dell’Onu, anche se è convinta che la Russia porrà il veto, impedendo l’azione.
Siria? una scaramuccia. Solo 8000 morti
8000 persone uccise in un anno. Questo è il bilancio secondo l’Onu delle vittime della repressione in Siria. Fra le vittime ci sono molti donne e bambini. Lo ha dichiarato il presidente dell’Assemblea generale, Nassir Abdulaziz al-Nasser, secondo cui le “violazioni dei diritti umani sono diffuse e sistematiche» e in questo «la comunità internazionale ha una sua responsabilità”. Per l’opposizione siriana, il numero delle vittime è invece superiore a 9000, tre volte le vittime dell’11 settembre.
Cosa non si fa per difendere il proprio potere…
Non ci riferiamo saltanto ad Al Assad e al governo siriano, ma anche alla “neoguerra fredda” tra PAesi della Nato da un lato e Russia e Cina dall’altro, timoroso che un intervento Onu possa spostare gli equilibri e le egemonie politica da una parte o dall’altra.
Come sempre, l’Onu non assolve al suo scopo di tutela degli interessi dei cittadini (che vengono per ultimi) ed è utilizzato per scopi egemonici.
Siria: sempre peggio
Continuano i bombardamenti in Siria con decine di morti ogni giorno, la guerra si è estesa praticamente a tutto il Paese, dopo Homs, Damasco e Aleppo.
Alcuni attivisti siriani hanno tentato un blitz all’interno dell’ambasciata siriana in Italia. Sono stati tutti arrestati e sottoposti al giudizio per direttissima. In totale si tratta di 12 persone. Gli agenti delle Volanti e la Digos della Questura di Roma hanno bloccato i ragazzi grazie alla segnalazione dei militari addetti alla sicurezza dell’ambasciata. Gli attivisti apparterrebbero al Coordinamento dei siriani liberi di Milano, che da giorni manifestano contro il regime di Assad. L’assalto sarebbe stato pianificato per chiedere la destituzione dell’ambasciatore Hassan Khaddour.
L’11 febbraio, durante un incontro con i media, il portavoce del Ministero degli Esteri Siriano, Jihad Makdissi, ha affermato che la Siria ha chiesto agli ambasciatori di Libia e Tunisia di lasciare il Paese entro 72 ore. Jihad Makdissi ha inoltre annunciato che la Siria ha già chiuso la sua ambasciata in Qatar e richiamato gli ambasciatori in Kuwait ed Arabia Saudita.
Il 9 febbraio il Ministero degli Esteri libico aveva espulso il corpo diplomatico siriano, mentre il 4 il governo tunisino aveva cacciato dal paese l’ambasciatore siriano e dichiarato di non riconoscere più l’attuale governo.
Ad oggi hanno ritirato i propri ambasciatori in Siria: Usa, Spagna, Francia, Belgio, Olanda, India e Italia.
Tg fuori dal mondo: il gelo c’è, ma tra Usa e Russia!
Una tempesta di allarmismi e polemiche dell’italietta sta dipingendo gli schermi televisivi di bianco. Mentre l’Italia si danna per qualche centimetro di neve e ghiaccio (esteso in mezzo emisfero terrestre, in modo molto più grave), nessuno, dico nessuno, tra i Tg nazionali, ha parlato di un gelo molto più grave:
è praticamente riesplosa la Guerra Fredda.
Mentre le deficienze del giornalismo delle tv italiane ci fa del terrorismo meteorologico, in Siria muoiono centinaia di persone ogni giorno e l’Onu sta cercando di trovare una soluzione al problema.
Stati Uniti e Russia sono finiti in piena rotta di collisione sulla Siria. Dopo il veto opposto ieri all’Onu da Mosca e Pechino sulla risoluzione contro il regime di Bashar el Assad, Hillary Clinton ha annunciato che Washington intende bloccare il flusso di fondi e i rifornimenti di armi russi che raggiungono Damasco.
A me fa venire più i brividi questo che una bella rinfrescata invernale dell’aria, e voi?
Per i ministri: visto che la risoluzione Onu NON è stata approvata, non ci sarà una nostra ratifica. Aspetteremo che l’eventuale risoluzione sia approvata.
Siria nel caos: preparatevi a giudicare la risoluzione Onu
Il monito è a tutti, ma in modo particolare ai Ministri della NeoRepubblica Kaotica, che saranno chiamati a votare l’appoggio o meno dell’eventuale risoluzione Onu che potrebbe esserci nei prossimi giorni, nonostante il parere contrario della Russia, che appoggia il regime siriano (e questo la dice lunga sull’idea di democrazia di Mosca, senza prendere in considerazione i fatti della Cecenia e di tutte le contese e le pretese territoriali ai confini, che non sono poche).
Al momento si combatte in molte zone della Siria, anche a Damasco. La guerra civile siriana (iniziata a maggio 2011, come da noi esplicitamente segnalato), per la verità un po’ trascurata dai media, è arrivata nella capitale e a un momento topico, anche se l’ipotesi di una fuga all’estero (e segnatamente in Russia) di Asma el-Assad, moglie del premier Bashar el-Assad, sembra in realtà esser stata fatta circolare dagli oppositori del regime per avvalorare i resoconti sulla presenza di forze del Libero Esercito Siriano.
Gli uomini preferiscono le bombe
40 morti negli attentati multipli in Nigeria davanti alle chiese cristiane di Boko Aram, che già in passato si è resa protagonista di stragi (vedi nostri articoli di giugno e di novembre), una formazione estremista, filomusulmana, ma in generale contro lo stile occidentale e quindi assimilabile ad Al Qaeda e formazioni simili. In totale, 100 morti in una settimana in Nigeria.
In Siria 44 morti in un attentato al tritolo a Damasco, di cui non sono ancora del tutto chiare le responsabilità, e 15 morti in un bombardamento a Homs. Alla base c’è la ribellione contro il regime di Bashar al Assad e, naturalmente, le tensioni Israelo-palestinesi.
Infine, “solo” 7 morti negli attentati a Baghdad, “saluto” di certi iracheni al contingente statunitense che ha appena concluso, dopo 8 anni, la sua “missione di pace”.
Forse peggio dei secoli passati, mai come oggi, l’uomo dialoga sempre di più con le bombe, ci si fa conoscere con il tritolo, si proclama con i bombardamenti e ci si saluta con le armi. A volte, anzi molto spesso, in nome della religione, che dovrebbe significare “spiritualità e amore”.
Chiediamoci però COME si è creata tale situazione e CHI ha cominciato a usare le armi come strumento di dialogo. Una risposta possibile potrebbe essere: il Colonialismo Occidentale.
Altra concausa: i media che non danno rilevanza alle stragi in Nigeria (come più volte abbiamo denunciato in questo blog, leggetevi cosa dicevamo a novembre di quest’anno).
La calda estate del 2011?
In attesa della gigantesca eruzione dell’Etna (decine di volte superiore alle consuete eruzioni degli ultimi anni) prevista da Salvatore Giammarco secondo cui “Le eruzioni vulcaniche si possono prevedere. Voglio sfatare una volta per tutte questa opinione e confermare che l’uomo è in grado di prevedere le eruzioni dei vulcani, magari con poche ore di anticipo, ma può farlo!”, e in attesa di sviluppi negli situazione siriana (meglio: in attesa di sapere per quante ore sarà valida l’affermazione del presidente Bashar al Assad “le operazioni militari e di polizia si sono fermate”), una riflessione sulle rivolte di Londra.
Una rivolta spontanea, nata dal basso, a causa di un’eccessiva repressione di polizia ai danni di Mark Duggan di 29 anni, padre di quattro figli. Duggan viaggia su un’ auto quando la polizia ha avviato un’operazione di monitoraggio della criminalità giovanile. Tottenham è il territorio degli “Hoxton biker boys”, dei “Mandem”, dei “BWF”, i gruppi dello spaccio, delle incursioni notturne, dei coltelli facili. I reparti della sicurezza gli chiedono i documenti. Poi le versioni divergono: qualcuno sostiene che l’uomo, per niente implicato nei giri più loschi, si sia prestato a collaborare. Scotland Yard dice che il giovane ha sparato per primo. Ma la perizia balistica (secondo il quotidiano “The Guardian”) avrebbe accertato che la pallottola trovata incastrata nella radio di un agente è partita da un’arma della polizia. Quel che è certo è che Duggan viene ucciso.
Bilancio: 4 giorni (e notti) di rivolte, 1335 arresti, 5 morti e decine di feriti.
Già nell’ ottobre 1985 fu il teatro della “Broadwater Farm Riot”, l’ insurrezione dei ragazzi neri contro la polizia: allora gli agenti si presentarono a casa di un ragazzo nero, Floyd Jarrett, e nella baraonda ammazzarono la madre Cynthia.
Ma è una coincidenza che salta maggioramente all’occhio: quest’anno infatti corre il trentennale delle rivolte di Brixton, quartiere popolare a sud di Londra. Fu a Brixton, nel 1981, che la polizia ebbe per la prima volta veramente paura della rabbia degli immigrati: il malcontento di africani e caraibici per le condizioni di povertà ed emarginazione si aggravò gli effetti della “Sus Law”, la legge che permetteva agli agenti di fermare e perquisire chiunque anche senza ipotesi di reato, ma soltanto in base al sospetto di due testimoni (che potevano essere anche due agenti). La notte del 10 aprile 1981 ben 5000 persone diedero il via alla guerriglia, che si concluse tre giorni dopo con quasi 300 poliziotti feriti, 70 edifici dati alle fiamme e 224 arresti. L’evento si legò anche alla musica, e band come gli UB40, i Pink Floyd, i The Clash (ma anche Bob Marley che morì circa un mese dopo) furono l’ideale colonna sonora della rivolta. I Clash, in particolare, un paio di anni prima avevano pubblicato il profetico brano “The Guns of Brixton”!
Le rvolte dell’agosto 2011 sono dello stesso tipo, fatte le debite differenze: la composizione sociale è leggermente diversa, il fenomeno delle band giovanili è più importante oggi, allora non esistevano i social network, amplificatori della rivolta, eccetera. Il punto in comune è che siamo davanti a una popolazione multienica, povera e segregata.
Le rivolte hano dato il via a violenze, danneggiamenti e fenomeni di sciacallaggio. Dobbiamo prima di tutto tenere presente che in casi di rivolte, ribellioni, insurrezioni, tumulti e guerriglie, questi fenomeni sono sempre presenti, perché fanno aprte della rivolta stessa, e che ora più che mai sono smarcherabili dai media, ormai onnipresenti (telecamere dei cellulari, ecc.). Ciò non toglie che i disordini di questi giorni siano caratterizzati maggiormente da questi episodi, ascrivibili all’attitudine delle band giovanili di derivazione americana (anche negli Stati Uniti composte prevalentemetne da popolazione multietnica). Questa analisi, che non è mai banale ribadire, porta alla considerazione che il confine tra rivolta politica o sociale e puro “banditismo” sia sempre più labile. Ma, restando la nostra ferma condanna a qualsiasi fenomeno di banditismo, sciacallaggio, vandalismo fine a se stesso, e qualsiasi disordine che punti a dimostrare la forza individuale e del gruppo a cui si appartiene (che rientra nelle sfere sociologica e psicologica rimandendo avulsa da motivazioni sociopolitiche), questa è un’analisi necessaria a comprendere l’evoluzione delle ribellioni e di come, da un lato, puntino a essere “sorprendenti” e “innovative” per lo stato sociale (proprio come sono innovative certe proteste pacifiche come quella dei sit-in nudi, degli scioperi della fame e della sete, e di tante originali manifestazioni degli ultimi anni), dall’altro di come l’individualismo violento dell’uomo e la volontà di dimostrazione violenta delle band utilizzi le rivolta per i propri scopi, a volte aiutandola, altre snaturandola fino a far scomparire le reali ragioni sociali o politiche che vi sono alla base.
Un’analisi di questi fenomeni porterebbe a non confondere la semplice delinquenza giovanile dalle reali e profonde motivazioni della rivolta.
Guerra civile in Siria: nuove opportunità di vendita di armi e bombe
Parliamo della guerra civile in Siria, dopo il massacro di Hama, dove sono state uccise più di cento persone. Noi avevamo già segnalato la leggerezza con cui i governi occidentali e i media sembravano affrontare la questione, usando i termini di “rivolta siriana”. Ma bisognava arrivare ai massacri pubblici per convincerli di ciò che avevamo già capito da subito.
Ora, la guerra civile siriana somiglia tanto a quella libica prima dei raid della Nato.
Facciamo una previsione. Entro un mese la Nato comunicherà le nuove coordinate alle proprie flotte, che dalla Libia si sposteranno nei cieli di Siria, scaricando nuove bombe con le stesse modalità.
I segnali ci sono tutti: i governi occidentali hanno cominciato a richiamare gli ambasciatori e qualcuno ha già paventato un ultimatum.
In fondo sarebbe una nuova opportunità per vendere un sacco di materiale bellico invenduto che potrebbe risollevare un po’ la disastrosa congiuntura economico-finanziaria…
Bashar al Assad come Gheddafi, insomma: prima un normale referente diplomatico, adesso un criminale da eliminare dallo scacchiere mondiale.
Ora: immagino che chi appoggia la guerra in Irak, in Afghanistan e in Libia appoggerà anche quella in Siria e perché no in Yemen… e poi?
P.S. Ci teniamo a precisare che la nostra posizione nei confronti di Assad come per tutti i governi non eletti democraticamente, o eletti democraticamente ma che governano in modo autoritario è di totale disapprovazione.
Siria: è rivoluzione!
Dopo Tunisia, Egitto e Libia, anche in Siria le rivolte (scoppiate in moltissimi paesi arabi e chiamate nel complesso la “primavera araba”) sono state represse con il fuoco e si contano alcune centinaia di morti, soprattutto a Deraa, nel sud del Paese. Il regime del presidente Bashar al Assad parla di secessione salafita (integralista), ma pare un’evidente giustificazione senza fondamento.
La nostra neorepubblica è solidale con le proteste anti-regime.