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Onu: Russia cacciata dal Consiglio dei diritti umani


La risoluzione è stata presentata dall’Ucraina e chiedeva di sospendere la Russia dal Consiglio sui diritti umani, (organismo con 47 membri), per le «gravi e sistematiche violazioni e abusi dei diritti umani» commesse durante la guerra a Bucha, Irpin, Dymerka e altre città ucraine. Per essere approvata la risoluzione richiedeva una maggioranza di due terzi ed è stata approvata con 93 voti favorevoli, 24 contrari e 58 astenuti. La Russia diventa così il primo membro permanente del Consiglio di sicurezza sospeso da un organismo dell’Onu, un disonore toccato finora solo alla Libia di Gheddafi.

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Libia, ancora lontano un accordo tra i due Governi


Il capo della Commissione Affari Esteri della Camera dei Rappresentanti libica, Youssef Al-Aqouri, in una videochiamata con il viceambasciatore statunitense in Libia, Leslie Ordman, ha riferito che ignorare il nuovo governo guidato da Fathi Bashagha porterà a effetti pericolosi per il percorso democratico e per il pacifico scambio di potere. Sono passate due settimane dal tentativo del nuovo governo di insediarsi a Tripoli. Tra il 10 e il 12 marzo, diversi convogli di forze legate a Bashagh, hanno cercato di raggiungere la capitale passando per Tajoura e l’aeroporto di Mitiga, ma senza successo.

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Haftar perde la Tripolitania: la Turchia domina in Libia (con la Russia)


Questa mattina le milizie che fanno capo al governo di Accordo Nazionale guidato dal premier Fayez Sarraj a Tripoli hanno annunciato la presa della cittadina di Tarhuna. Haftar il 4 aprile 2019 da Bengasi, tradiva gli impegni con l’Onu al dialogo politico, imponendo la logica delle armi e annunciando che avrebbe conquistato la capitale in pochi giorni.

Ma da metà novembre il presidente turco Erdogan aveva scelto di impegnarsi seriamente al fianco di Sarraj. I suoi droni e i razzi antiaerei sono stati in grado di paralizzare la flotta aerea di Haftar, quindi le brigate di miliziani siriani assoldati e addestrati dallo stato maggiore turco e inviati a Tripoli e Misurata hanno fatto il resto.

La presa di Tarhuna significa che Haftar torna alle posizioni di partenza, perdendo la Tripolitania.

Alle origini di questi sviluppi appaiono fondamentali gli accordi tra Erdogan e Putin.

Al momento dunque la Russia garantisce l’ordine in Cirenaica, mentre la Turchia trionfa in Tripolitania. Grande assente resta invece l’Europa, che dai tempi della conferenza di Berlino, lo scorso 19 gennaio, ha assunto una politica di attesa.

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Si torna alla normalità: attacchi aerei a Misurata, in Libia


Il Covid-19 è in recessione nel mondo e in alcune parti si torna alla normalità: in Libia, per esempio, stanotte c’è stata una nuova escalation di guerra. Poco prima di mezzanotte un grosso incendio è divampato presso l’accademia dell’aeronautica a Misurata. Secondo alcune fonti ci sarebbero state delle forti esplosioni. I media locali riferiscono di una serie di raid condotti dalle forze aeree del generale Khalifa Haftar contro alcuni depositi di munizioni del governo di Tripoli.

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Libia, via libera di Ankara all’invio di truppe contro Haftar


L’esercito turco aiuterà il premier al Serraj a fermare l’avanzata dell’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale della Cirenaica Khalifa Haftar, impegnato da aprile nella presa di Tripoli. Ma le reazioni del mondo non sono favorevoli. Trump è contro “Contro ogni interferenza esterna”. L’Egitto chiede una “risposta internazionale”, mentre l’Ue e la Russia rimangono “contro una soluzione armata”

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Chi è Khalifa Haftar e chi è il vero responsabile del delirio libico?


Khalifa Haftar ha intrapreso la carriera militare e si è diplomato all’Accademia di Bengasi. Poi, ha proseguito i sui studi in tattica militare in Egitto e Unione Sovietica. Da giovane ufficiale si è schierato con Muammar Gheddafi nel golpe che l’ha portato al potere nel 1969. Nel 1986, ormai colonnello, Haftar guida le truppe libiche nell’offensiva contro il Ciad, in una guerra che durava già da un decennio. Il Ciad, sostenuto delle forze armate francesi, lasciò le truppe libiche prive di artiglieria in seguito a un raid aereo, e Haftar venne fatto prigioniero dalle forze ciadiane assieme a centinaia dei suoi uomini. Così venne abbandonato da Gheddafi che lo destituì dal comando e ne chiese il processo. Aiutato dai servizi segreti americani, il colonnello fuggì in Zaire, poi in Kenya dove militò in diversi gruppi anti-Gheddafi, e infine si trasferì negli Satti Uniti, vicino a Washington.

Il caos determinato dalla caduta di Gheddafi (2011) frantumò la Libia in decine di gruppi diversi su base religiosa, tribale e geografica. Così Haftar comprese che era giunto il momento di tornare in Libia. Nel maggio 2014 Haftar lancia l’“Operazione Dignità”, con l’appoggio dell’Egitto, di alcuni dei municipi della Cirenaica e sostenuto dal parlamento di Tobruk, primo governo a ottenere il riconoscimento internazionale nell’era post Gheddafi, che lo ha nominato capo dell’Esercito nazionale libico e oggi controlla parte dell’est della Libia. Grazie all’appoggio dell’Egitto e, sembra, anche della Francia, ha messo in piedi un esercito di 30mila uomini, dotato di artiglieria pesante e aviazione.

Fino alla fine del 2015 sembrava che l’Europa potesse scegliere lui per inaugurare il futuro della Libia, l’uomo al comando della forza militare al momento più consistente del paese. Invece a mettersi di traverso alle sue ambizioni è stata proprio l’Italia che, ideato un piano diverso, ha convinto le Nazioni Unite ad appoggiare la propria soluzione. L’Italia, infatti, ha in Tripolitania i maggiori interessi petroliferi, portandola a puntare sull’insediamento a Tripoli di un governo più tecnico, quello di Fayez al-Sarraj.

Ma il generale Haftar è riuscito a convincere i propri sostenitori all’interno del parlamento di Tobruk a non votare la fiducia all’amministrazione di Sarraj, non riconoscendo le modalità con cui questo nuovo governo è stato stabilito: a suo parere è stato imposto dalle Nazioni Unite.

Al momento Haftar è riuscito a ricacciare nell’interno le forze integraliste musulmane (impropriamente chiamate dell’Isis), e ad affacciarsi nei dintorni di Tripoli, minacciando da vicino i Governo di Unità Nazionale appoggiato dalle Nazioni Unite.

Il commento è abbastanza ovvio e non aiuta a risolvere la questione: ma è importante concludere che questa guerra è più uno scontro tra gli interessi delle nazioni che acquistano il petrolio (Europa, Stati Uniti per primi) più che uno scontro tribale (che riguarderebbe solo la parte meridionale pro-Isis, e non quello Cirenaica-Tripolitania).

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Caos in Libia, riunito il Consiglio di Sicurezza Onu


Dopo aver conquistato il sud del Paese tra febbraio e marzo, il generale libico Khalifa Belqasim Haftar ha dunque lanciato quella che ha pomposamente chiamato “l’Operazione per la liberazione di Tripoli” dopo che le sue truppe sono entrate senza combattere a Garian, un centro situato a 80 km in linea d’aria dal centro di Tripoli. Il caos libico sarà al centro di un incontro del Consiglio di Sicurezza Onu, chiesto dalla Gran Bretagna, nel quale l’inviato speciale Ghassan Salamè farà il punto sulla situazione.

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Libia: il vero scontro è tra Italia e Francia?


A Tripoli si combatte tra milizie rivali: nonostante diversi tentativi di mediazione, finora non è stata raggiunta alcuna tregua. La capitale libica è controllata dal governo di accordo nazionale guidato dal primo ministro Fayez al Serraj, appoggiato dall’ONU e sostenuto con molta convinzione dall’Italia, prima dai governi Renzi e Gentiloni e oggi dal governo Conte. Nonostante quello di Serraj sia oggi il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, il primo ministro non può contare su un proprio esercito e per garantire la propria sicurezza deve fare affidamento alle milizie armate che gli sono fedeli. Gli scontri sono cominciati quando Tripoli è stata attaccata da sud da un gruppo di milizie guidate dalla Settima Brigata, considerata vicina al principale avversario di Serraj, cioè il generale Khalifa Haftar, l’uomo che controlla di fatto la Libia orientale e che vorrebbe controllare tutto il paese. Tra gli altri, Haftar è appoggiato dalla Francia del presidente Emmanuel Macron, che da tempo sta cercando di prendersi il suo spazio in Libia, secondo molti a discapito degli interessi italiani.

Secondo il governo italiano, gli scontri sarebbero il risultato delle politiche francesi in Libia degli ultimi anni, in particolare dell’intervento militare del 2011 che destituì l’ex presidente libico Muammar Gheddafi, e dell’attuale posizione politica della Francia a fianco di Haftar.

A quanto pare siamo al node del pettine della guerra del 2011 (di cui avevamo parlato molte volta, tra cui qui)

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Rapporto allʼOnu: la Corea del Nord prosegue il programma nucleare


La Corea del Nord non ha messo fine al suo programma missilistico e nucleare continuando a violare le sanzioni imposte dall’Onu. L’accusa è contenuta in un rapporto di esperti presentato venerdì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tra le violazioni vengono citati “un ingente aumento nei trasferimenti illegali di petrolio da nave a nave” e la fornitura di “armi leggere e altro equipaggiamento militare” a Libia, Yemen e Sudan.

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Tunisia, ISIS attacca esercito al confine: 53 morti, di cui 7 civili


Sono entrati dalla Libia, arrivati alla città di confine Ben Guerdan e attaccato l’esercito tunisino. Il raid dei miliziani dell’Isis, secondo la ricostruzione del ministero della Difesa di Tunisi, ha provocato 53 morti negli scontri con le forze armate regolari. I terroristi respinti avrebbero poi ripiegato su obiettivi civili. Tra le vittime molti jihadisti, si parla di 35 miliziani uccisi, undici tra militari e poliziotti e sette civili, tra cui una ragazzina di 12 anni.

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Perché hanno ucciso Gheddafi?


Una riflessione di cui abbiamo parlato poco, ma che è interessante tirare fuori adesso per comprendere come ragionano i civili e democratici governi europei.
Gheddafi voleva ottenere l’indipendenza finanziaria del continente attraverso la costituzione di 3 istituzioni bancarie: la Banca Centrale Africana, con sede ad Abuja in Nigeria, avente lo scopo di creare una moneta unica africana indipendente, sia per gli stati ex colonia costretti ad utilizzare valute straniere, sia per la commercializzazione del petrolio da effettuarsi obbligatoriamente in dollari. Il Fondo Monetario Africano con sede in Camerun a Yaoundé, con lo scopo di concedere prestiti agli stati africani a condizioni molto più convenienti di quelle del Fondo Monetario Internazionale, oltretutto facendo imbestialire le elites bancarie occidentali, non concedendo loro di partecipare finanziariamente al progetto dunque estromettendole da qualsiasi potere decisionale.
Quali sono le monete più utilizzate in Africa?
Quali sono le nazione che hanno voluto il conflitto e la morte di Gheddafi?
Le stesse. Francia, Usa e Regno Unito.

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Libia riunificata


Firmato a Skhirat in Marocco l’accordo che sancisce la nascita del governo di unità nazionale libico che andrà a unire i due Governi fino a oggi presenti in Libia (di Tobruk e di Tripoli).
fin all’ultimo è andata avanti la mediazione, con l’inserimento di tre nuove figure in seno al Consiglio presidenziale libico: Ali Qatrani, vicepremier per l’est, Abdul Salam Karjamal, vice per il sud, e Ahmed Hamza Mahdi, anche lui per il sud, che affiancheranno il premier Fayed Sarraj e gli altri responsabili indicati nell’accordo dell’8 ottobre accettato dalle parti.
L’accordo, tra l’altro, prevede che sia l’esecutivo a nominare un nuovo capo delle Forze Armate.
A Tripoli dovranno riaprire anche le sedi diplomatiche, e il Paese dovrà tornare alla normalità per riuscire a sconfiggere l’Isis e la minaccia che rappresenta, e affrontare la crisi dei migranti.

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J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque


Questo è un atto di accusa. Verso tutti i governi coinvolti e i loro doppi giochi. Verso le degeneri ideologie religiose, verso il colonialismo globale degli Usa e l’autoritarismo della Russia, verso i terroristi. Ma è anche un suggerimento. Perché le accuse devono essere seguite da ipotesi costruttive.
Dopo questa introduzione, leggetevi le schede proposte (linkate), complete di esaustive cartine.
Per scelta, questo articolo NON comprende alcune teorie dietrologiche anche se assolutamente valide, ma si attiene soltanto ai FATTI.

La chiave di lettura del disassetto del Medio Oriente e non solo e il conseguente esodo di questi giorni è la contrapposizione di quattro poteri forti: gli Stati Uniti, la Russia, l’Islam sunnita e quello sciita.
Durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica era alleata con gli sciiti, con l’Asse Urss-Iran. Discorso analogo l’alleanza tra Usa e sunniti, con l’asse Usa-Arabia Saudita, con la complicazione dal rapporto privilegiato Usa-Israele. I rapporti economici tra Israele e Sauditi anticipavano già le contraddizioni odierne, acuitesi dopo la fine della (prima) Guerra Fredda.
Una volta caduto il tabù della guerra nucleare tra superpotenze, la politica estera degli Stati Uniti è cominciata via via a essere sempre più “rilassata” nei confronti di nazioni che prima appartenevano al blocco sovietico (Europa dell’Est e Iran).
In Europa il frettoloso allargamento della NATO (che ha inglobato le repubbliche baltiche Lituania, Estonia, Lettonia) fino ad avviare trattative con l’Ucraina, ha aggravato il contrasto etnico tra ucraini e russi all’interno del Paese. Naturalmente la Russia è risentita dell’atteggiamento degli Stati Uniti che continuano a sanzionarla.
(Vedi la scheda “Ucraina”).
Nel frattempo lo scontro tra sunniti e sciiti si è aggravato per due motivi: l’allentamento delle alleanze con gli alleati storici, ma soprattutto l’avanzamento di ideologie salafite (e quindi fondamentaliste e jihadiste) in tutto il Medio Oriente. Le conseguenze sono state più estreme del previsto: 11 settembre, Al Qaeda e Stato Islamico hanno fatto in modo che Russia e Stati Uniti si trovassero coinvolti unitamente nello stesso punto strategico: la Siria e l’Iraq.
(Vedi le schede “Siria”, “Stato Islamico e Iraq”).
Lo scontro tra sciiti e sunniti però si gioca tra Arabia e Iran e la scintilla è scoccata con la guerra in Yemen (Vedi le schede “Yemen e Arabia Saudita” e la scheda “Iran”).
La partita oggi si gioca in 4 e le vecchie alleanze non hanno più l’esclusività di un tempo (ci sono alleanze incrociate, temporanee o ambigue). Resta alla periferia dal gioco la disastrosa situazione in Libia (vedi la scheda “Libia”) e l’annosa questione tra Israele e Palestina (che qui non affrontiamo in quanto lo abbiamo fatto già atre colte).
Nella varie schede ho descritto sommariamente, ma in modo accurato con cartine molto precise, la situazione etnica e religiosa, quella delle forze in campo, le alleanze ufficiali e le accuse reciproche a ogni attore politico. Questa parte è composta solo da fatti, nessuna opinione, né personale né dietrologica è contemplata. La schede terminano con un commento personale super partes e dei suggerimenti personali, questi sì ideologici.
Come potrete comprendere leggendo le schede, i governi sono interessati soprattutto ai vantaggi economici, le democrazie mettendo in primo piano solo i diritti civili dei propri cittadini, i regimi nemmeno questo.
L’Onu persegue la vecchia politica dell’integrità nazionale (come nel congresso di Vienna del 1815), mettendo in secondo piano il principio di autodeterminazione dei popoli.
Per perseguire entrambi questi principi termino questa introduzione con l’esempio del Libano.
Il Libano è sempre stato abbastanza stabile, vista l’assenza di una netta maggioranza sciita o sunnita all’interno del Paese. Il potere è distribuito ugualmente: il presidente del governo libanese deve essere un cristiano, il primo ministro un sunnita e il portavoce del parlamento uno sciita. I conflitti si concentrano principalmente nel nord del Paese, ai confini con la Siria, dove il gruppo militante sciita degli Hezbollah sostiene il governo di Bashar al-Assad.
La chiave sciiti contro sunniti e dei loro vecchi alleati, spiega solo in parte lo scontro nel e sul Golfo. Spiega ancor di più, e meglio, un’altra chiave di lettura: la crisi di legittimità dei poteri e la conseguente crisi ideologica.

Lukha B. Kremo, 11 settembre 2015

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L’Iran e gli accordi con gli Usa


(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)

Situazione etnico/religiosa:
l’Iran è lo Stato con la più alta percentuale di islamici sciiti al mondo, inoltre, è il Paese più ricco insieme all’Arabia Saudita (a stragrande maggioranza sunnita), con la differenza che ha un’economia più diversificata e quindi meno petrolio-dipendente. Le due nazioni si contendono quindi il primato islamico e acuiscono il contrasto tra sciiti e sunniti.
Durante la Guerra Fredda si era instaurato un asse Russia-Iran contro l’asse Usa-Arabia. Le alleanze sono sostanzialmente invariate, fatti i debite modifiche della situazione (per esempio Yemen occidentale, Libia e Afghanistan erano nell’influenza sovietica, ora non sono alleate con la Russia).
Solo una piccola parte nord occidentale è a maggioranza curda (al confine con Iraq e Turchia). (vedi mappa etnico-religiosa Iran e mappa sciiti nel mondo islamico, a fine articolo).
Situazione sul campo:
l’Iran è stato il primo governo del Medio Oriente a scendere in campo con lo Stato Islamico per aiutare il liquefatto esercito iracheno allo sbando sotto l’attacco dell’Isis. È ovvio che Teheran insieme agli Hezbollah libanesi (sciiti) rafforza il fronte sciita contro quello sunnita e punta a estendere la sua influenza regionale nel Golfo del petrolio sostenendo anche i ribelli Houthi in Yemen (vedi scheda Yemen e Arabia Saudita).
Nel maggio 2015 il leader siriano Bashar Assad ha incontrato il rappresentante speciale dell’Iran Ali Akbar Velayati, reduce da un colloquio con Hasan Nasrallah di Hezbollah. Le parti hanno firmato una serie di accordi nella sfera economica e in quella della lotta al terrorismo. Assad ha dichiarato che l’Iran è il principale appoggio della Siria nella lotta al terrorismo.
La notizia degli ultimi giorni è che anche la Russia ha deciso d’intervenire contro il terrorismo dell’IS (ma anche contro i ribelli siriani).
Posizioni ufficiali:
evidente l’allineamento Russia-Iran-Siria e il contrasto paesi sciiti e sunniti (contrasti dichiarati a livello ufficiale).
Più ambigui i rapporti tra l’Iran e l’Occidente. Dopo dieci anni di sanzioni internazionali, nel luglio 2015 Stati Uniti hanno da poco firmato un importante accordo con l’Iran riguardo l’utilizzo dell’energia nucleare. Israele e naturalmente tutto il mondo arabo sunnita è molto preoccupato per questo accodo. Detto ciò, va considerato che la comunità internazionale è sempre stata incapace di impedire a uno Stato un programma di sviluppo nucleare. Così è avvenuto per l’Iran, dove l’unica dissuasione possibile è stata quella delle sanzioni internazionali, strumento però che non ha frenato lo sviluppo nucleare e che, in assenza di accordi, potrebbe avere dimensioni più preoccupanti. Inoltre In Iran sono diverse le posizioni e le prospettive del leader religioso l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente della Repubblica Hassan Rouhani, quest’ultimo appartenente a un orientamento moderato e riformista, sta cercando di allargare i diritti nel suo Paese, di farlo crescere dal punto di vista economico e non ha mai nascosto la sua propensione al dialogo con l’Occidente (come del resto fa l’Arabia Saudita).
Gli accordi permettono sia a Stati Uniti e Iran di presentarsi come vincitori, i primi perché potranno contare su controlli che prima non erano possibili, i secondi perché potranno continuare a sviluppare il programma nucleare aprendosi a interessanti prospettive di crescita economica con la fine delle sanzioni.
Accuse:
l’accordo ha creato risentimenti in quasi tutti: la Russia, per lo storico rapporto prediletto con l’Iran, l’Arabia Saudita e i paesi sunniti, per l’esplicito contrasto con il Paese sciita, Israele, che teme attacchi nucleari, e in generale la comunità internazionale ha espresso preoccupazione.
L’Iran è comunque accusato di portare avanti un programma nucleare anche allo scopo di costruire armamenti e naturalmente di non rispettare i diritti civili nel proprio Paese.
Commento:
l’accordo Usa-Iran non è da vedere solo in modo negativo, il rischio che l’Iran arrivi all’armamento nucleare e che lo utilizzi anche come minaccia è remoto (il Pakistan, l’India e la Corea del Nord hanno già missili a testata nucleare, ma esiste tutta una diplomazia che ha fatti sì il nucleare non siano mai più stato usato dal 1945) anche perché dopo la successione di Hassan Rouhani al posto di Mahmoud Ahmadinejad in Iran tira aria di riformismo e di moderazione. Probabilmente questo accordo, anche se sulla carta è rischioso, potrebbe essere l’occasione giusta per recuperare i rapporti con un importante partner dello scacchiere mediorientale e allontanarlo dalle posizioni estremiste e fondamentaliste.
Previsioni:
l’Iran condurrà una guerra all’IS insieme a Russia, Stati Uniti e Francia. L’amministrazione Obama chiuderà le trattative con l’Iran e la Russia e la partita siriana lasciando un’onorevole via di uscita al regime di Assad che eviti al Paese di finire nelle mani dei radicali islamici.
Suggerimenti:
Il migliore: 1) L’Iran ammorbidisce le proprie posizioni politiche e religiose, aprendosi all’Occidente senza rinunciare alla propria autonomia e al rapporto privilegiato con Russia e Siria.
Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).

Mappa etnico-religiosa Iran
Mappa etnico-religiosa Iran
Mappa sunniti e sciiti nel mondo islamico
Mappa sunniti e sciiti nel mondo islamico

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La guerra civile in Libia


(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)

Situazione etnico/religiosa:
l’attuale situazione libica non è altro che la naturale conseguenza dei mutamenti socio-politici e dell’incremento di instabilità politica che hanno caratterizzato il Maghreb ed alcune zone del Medio Oriente dopo la Primavera Araba del 2011, oltre ai legami dei jihadisti presenti in quei territori con la criminalità organizzata. Pertanto, proprio queste “nuove divisioni” hanno favorito l’avanzata islamista fino a raggiungere ruoli istituzionali seppur non riconosciuti dalla comunità internazionale, come dimostra il Parlamento di Tripoli opposto a quello ufficiale di Tobruq, e l’affiliazione all’ISIS di gruppi jihadisti già presenti in alcune aree del Paese. L’IS si presenta dunque come una nuova versione dell’“internazionale jihadista”, accompagnata da una forte propaganda e da un sensazionalismo mediatico.
Situazione sul campo:
Il Congresso nazionale generale, costituito con le elezioni del luglio 2012, e i governi che ne sono stati espressione fino al giugno 2014, hanno fallito nella transizione del Paese verso un regime democratico. La ragione principale è stata l’incapacità di disarmare le milizie tribali alla caduta di Gheddafi. Senza un esercito regolare per contrastarle, i governi post rivoluzione hanno affidato alle milizie armate compiti di polizia e sicurezza nel tentativo di integrarle a servizio del nuovo regime, stipendiandole attraverso i vari ministeri, in particolare quello degli interni. La strategia è naufragata di fronte alla forza dei conflitti tra città e città, tra tribù e tribù, di fronte agli attriti tra regioni indipendentiste e potere centrale.
Il quadro si è complicato a metà del 2014 quando il generale Khalifa Haftar ha lanciato l’operazione “Dignità” contro le milizie salafite di Ansar al-Sharia di Bengasi, giustificandola con la lotta al terrorismo. L’offensiva militare si è poi allargata contro i salafiti a Derna e contro gli islamisti a Tripoli.
Inoltre, i persistenti conflitti interni hanno reso la Libia facilmente penetrabile da parte di attori esterni, siano essi Stati o gruppi terroristici.
Per schematizzare, si può quindi passare a mappare la situazione libica raggruppando le tribù in tre categorie generali: nazionalisti (governo di Tobruq), islamisti (governo di Tripoli), salafiti-jihadisti. (vedi mappa politica Libia a fine articolo).
Con il termine nazionalisti ci si riferisce allo schieramento che si riconosce nel parlamento di Tobruq, nelle forze armate impegnate nell’operazione “Dignità” controllate dal generale Haftar e nelle milizie sue alleate (la principale delle quali è la milizia di Zintan). Lo schieramento è molto variegato dal punto di vista ideologico. Il governo è presieduto da Abdullah al-Thani, primo ministro dal settembre 2014. Il parlamento e il governo di Tobruq sono le uniche istituzioni libiche riconosciute dalla comunità internazionale. Il nucleo delle forze militari nazionaliste è costituito dall’Esercito nazionale libico.
Per islamisti si intende lo schieramento che appoggia politicamente il parlamento di Tripoli e che ha dato vita all’operazione “Alba”. In questa coalizione il peso della Fratellanza Musulmana è preponderante. I fattori ideologici che accomunano gli islamisti sono: l’islamismo come modello politico, l’aspirazione democratica, (che li distingue dai gruppi salafiti-jihadisti) e il richiamo agli ideali della rivoluzione. Le Brigate di Misurata sono il più forte gruppo armato degli islamisti e dell’intera Libia.
Infine, con il termine salafiti-jihadisti si indicano i gruppi salafiti (fondamentalisti) presenti nelle città di Bengasi e di Derna che hanno legami accertati o presunti con Al Qaeda o con lo Stato Islamico. Il salafismo è una forma di fondamentalismo islamico sunnita, che rigetta la democrazia, è anti-occidentale e aspira all’applicazione letterale della legge islamica la Sharia (vedi scheda Arabia Saudita). Il gruppo Libya Shield One è una componente islamista (non salafita) del più ampio gruppo “Scudo libico” ed è guidato da Wisam Bin Hamid. Poi ci sono la Brigata Rafallah al-Sahati, da Ismail al-Sallabi e Salahadeen Bin Omran, la Brigata Martiri 17 febbraio, capeggiata da Fawzi Bukatef, Ansar al-Sharia Bengasi e al-Sharia Derna, affiliata ad Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), la Brigata Martiri di Abu Salim, comandata da Shâykh Salim Derby. Il Consiglio della Gioventù Islamica è invece un gruppo affiliato all’IS dall’ottobre 2014 ed uno degli attori più forti che opera a Derna.
Posizioni ufficiali:
Vi è l’appoggio aperto di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita al parlamento nazionalista di Tobruq e alla truppe di Haftar; l’appoggio di Qatar e Turchia offrono al parlamento islamista di Tripoli; i collegamenti diretti tra Al Qaeda e lo Stato islamico con i gruppi jihadisti-salafiti.
L’Egitto ha bombardato alcune posizioni jihadiste dell’est del Paese.
La comunità internazionale riconosce e appoggia solo il parlamento e il governo di Tobruq.
Nel Marzo 2015 si è svolto un summit a Skhirat, in Marocco, tra le delegazioni di Tripoli e di Tobruq, allo scopo di “formare un governo di unità nazionale” (per ora senza successo).
Si delinea infine la contrarietà dell’Onu verso gli attacchi compiuti da Tripoli verso Tobruq e i jihadisti perché rappresenterebbero una serie minaccia al successo politico dell’iniziativa di riconciliazione.
Accuse:
la comunità internazionale ha prima creato un vuoto di potere eliminando Gheddafi, poi non è stata in grado di garantire al Paese una ricostruzione, lasciando i gruppi tribali armati a dettare legge nel Paese.
L’Onu privilegia la scelta della riconciliazione tra i due governi per conservare l’integrità del Paese (principio a cui s’ispira, spesso mettendolo davanti all’autodeterminazione dei popoli) e quindi garantire il prosieguo e lo sviluppo di investimenti e sfruttamenti economici.
C’è l’accusa, verso alcuni Paesi, di voler impedire la creazione di una Moneta Unica dei Paesi Arabi, e quindi di creare l’instabilità nel Nord Africa (e in generale nel mondo arabo).
Commento:
La Libia è sostanzialmente un territorio semidisabitato con importanti giacimenti di petrolio. L’Occidente ha deciso di mantenere buoni i rapporti con Gheddafi finché riusciva a intessere rapporti commerciali con la Libia. Con la Primavera Araba l’Occidente ha colto l’occasione di togliere di mezzo un personaggio poco affidabile. Ma è successo come in Iraq, il vuoto di potere conseguente alla caduta del dittatore (Saddam Hussein come Gheddafi), ha fatto emergere la feroce contrapposizione politica tra le varie tribù che i dittatori riuscivano a tenere uniti. Non si è voluto pensare al “dopo” e in entrambi i casi, ogni politica diplomatica è fallita di fronte alle armi che le tribù compravano massicciamente dallo stesso Occidente.
Una situazione che poteva essere sicuramente prevista e probabilmente anche evitata.
Previsioni:
Lo stallo. La comunità internazionale è concentrata su altri scenari (Siria, IS, Iaq, Iran e Ucraina) e la Libia passa in secondo piano, anche perché, con l’abbassamento del prezzo del petrolio fatta a tavolino dall’Arabia Saudita per evitare la propria incipiente crisi, fa sì che la riapertura dei pozzi petroliferi libici attualmente chiusi per la guerra sia non solo inutile, ma anche dannosa per il rischio di un eccessivo abbassamento del prezzo del petrolio (non dovete guardare il prezzo della benzina, composto in grandissima parte delle tasse, il prezzo del greggio è attualmente di circa 25 centesimi di euro al litro!).
Probabilmente si aprirà un dialogo tra Tripoli e Tobruq, ma la variante jihadista non aiuta.
Suggerimenti:
Vorrei far notare che il primo suggerimento lo abbiamo dato già nel luglio 2011 (prevedendo anche come sarebbe andata a finire la gerra).
Il migliore: 1) Creare un governo di unità nazionale, equilibrato politicamente per costituzione (equilibrio nazionalisti e islamisti nelle istituzioni).
In alternativa: 2) Secessione della Libia in due parti, nell’ovest governo della Tripolitania, nell’est governo della Cirenaica.

Mappa posizioni Libia
Mappa posizioni Libia

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Continuano le stragi di migranti


Circa 200 cadaveri di migranti sono stati individuati dalla Guardia costiera libica davanti alle coste di Zuwara, teatro ieri di un doppio naufragio.
71 cadaveri sono stati abbandonati nel cassone di un camion lasciato incustodito lungo un’autostrada trafficata tra i boschi austriaci. A 50 chilometri da Vienna, nel cuore dell’Europa. Probabilmente la maggioranza di loro provengono dalla Siria.

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Effetti negativi a breve e lungo termine. Radioattività? No, guerra del Golfo.


Almeno 55 militari sono stati uccisi oggi in Iraq da tre attentatori suicidi probabilmente dell’Isis che hanno attaccato un convoglio nei pressi di Falluja, 50 chilometri a Ovest di Baghdad nella provincia di Al Anbar.
La situazione disastrosa in Iraq e Siria e quella alterttanto destabilizzata in Libia sono esempi troppo evidenti delle conseguenze delle guerra volute da Usa e Nato.
Tutto ciò che paventvamo PRIMA, mentre la gente ci prendeva per “pacifisti” o “comunisti” (ma non siamo né gli uni negli altri) si sta realizzando nei peggiori modi. Continuare a osannare la Nato, perseguire l’esterofilia culturale, essere patrioti e contemporaneamente filoamericani (contraddizione in termini), o d’altra parte, essere russofili, porterà la seconda Guerra Fredda a “riscaldarsi”.

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950. Morti.


Morti. Disperati. Indesiderati. Che venivano a rubare il lavoro e i sussidi degli italiani, che venivano a spacciare, rubare e violentare le donne degli italiani (queste frasi le ho sentite molte volte in bocca a VOI italiani, le riporto per dovere di cronaca).
Ora sono morti. C’è meno concorrenza.
Infami. Ipocriti. Ignoranti (riferito a quelli cui ho sentito dire le frasi sopra).

Migranti superstiti a Malta
Migranti superstiti a Malta

A noi non resta che fare 950 preghiere, cristiane, musulmane, laiche.

Comunicati · gazzetta ufficiale · Governo Oscuro

*** Bombe sulla Libia? No, grazie


NAZIONE OSCVRA CAOTICA
GOVERNO OSCVRO
QVESITO XXII

giorno 1 ventoso 134

*Siete favorevoli a un intervento armato in Libia?

Il Governo Oscuro ha votato così:

Qvesito 22
Qvesito 22

Commento: il Governo Oscuro respinge l’intervento armato in Libia.
Il Governo Oscuro ancora una volta ha dimostrato cautela, si registrano infatti delle posizioni opposte proprio grazie alla volontà di capire il fenomeno. Chi è contro comprende che l’ennesimo bombardamento alla Libia non poterebbe a nulla di positivo, se non a un peggioramento delle condizioni politiche e sociali della Libia, chi è a favore mette in primo piano i diritti civili e il pericolo da mesi da noi segnalato dello Stato Islamico.
Il Presidente ci tiene a precisare che la sua NON è una posizione pacifista. Infatti essere pacifisti “a priori” sarebbe un pre-giudizio di tipo dogmatico. Per il Presidente la guerra è necessaria se è di difesa o di attacco ai poteri che limitano o annullano la propria libertà e i propri diritti civili. Specifico “propri” perché queste offensive non riguardano la difesa della libertà altrui, a meno che non si tratti di solidarietà e supporto (perchè è evidente che una guerra di “liberazione”, come è concepita oggi, ha come risultato un’influenza politica, militare ed economica, ovvero il post-colonialismo).
Questo modo di vedere ha fatto sì che per il momento il Presidente (e il Governo Oscuro) abbia sempre votato contro le guerra. Il Pacifismo per noi è quindi una conseguenza, non una premessa. Il Governo Oscuro è pacifista per deduzione, non per presa di posizione.
Il Governo Oscuro ha votato contro l’intervento in Libia ora e contro Gheddafi e contro l’intervento in Siria. Quando ancora non era stato fondato (prima del 2004) il futuro Presidente si schierò contro le guerra in Irak e persino (con qualche riserva) contro quella in Afghanistan.
La guerra contro il regime Talebano in Afghanistan, un regime estremista che appoggiava il terrorismo e che rappresentava il Governo di una Nazione riconosciuta dall’Onu, era probabilemnte l’unica che poteva essere appoggiata da noi (il futuro Presidente all’epoca non la appoggiò perché considerò il fatto che gli Stati Uniti utilizzassero la guerra anche in funzione antirussa, compromettendo così le vere ragioni declamate).
In questo caso, contro le armate ISIS in Libia, esistono due governi libici (uno islamico a Tripoli e uno laico a Tobruk, riconosciuto dall’Onu), e l’ISIS è soltanto una minaccia terrorista che NON controlla lo stato, quindi la situazione è nettamente diversa.

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L’ISIS è figlio dell’Occidente


Non è necessario essere analisti di politica internazionale per capire i motivi della nascita del “Califfato della morte”, soprattutto dopo la sua sortita in Libia. Lo “Stato della follia Islamica”, infatti, cresce bene dove ci sono i vuoti di potere, in Iraq, in Siria, in Yemen, in Libia. Saddam Hussein e Gheddafi erano due dittatori che (come Tito in Jugoslavia) tenevano uniti Paesi abitati da popolazioni eterogenee, sia dal punto di vista etnico, che linguisto, che religioso. Lo facevano calpestando i diritti civili, naturalmente, e per questo motivo apparente (sotto cui si nasconde l’altro motivo, il principale: gli interessi economici legati al petrolio), ora gli Stati Uniti (in Iraq), ora la Francia (in Libia), ora l’Onu hanno deciso di “esportare il modello democratico”, uccidendo l’elemento che teneva insieme la società di quei Paesi.
Bisogna tenere conto, infatti, che questi sono Paesi dalla società con strutture e consuetudini diverse da quelle europee. In Iraq del Nord e in Libia soprattutto, la popolazione è divisa in “clan” ed è necessario organizzare un coordinamento per tenere in pace questi clan. Hussein e Gheddafi, per quanto sanguinari, garantivano quella pace che una costituzione democratica non è in grado di fare (nemmeno in Egitto o in altri paesi arabi moderati, a quanto pare). E’ evidente che società dalla struttura diversa, per rispettare i diritti civili dei propri componenti, devono seguire strade diverse dai Paesi Occidentali, metodi che devono sviluppare internamente.
Le “primavere arabe” avrebbero dovuto fare questo, ma l’enorme ingerenza occidentale (soprattutto in Egitto) lo ha impedito, offrendo il modello democratico occidentale come unica possibilità. L’individualismo del modello del suffragio universale non è proponibile in una società divisa in clan.
Ma naturalmente all’Occidente premeva soprattutto la necessità economica, cioè mantenere una stabilità per garantire afflusso di gas naturali, olio e petrolio, quindi meglio la via rapida, tagliare la testa e imporre la democrazia.
Risultato: via libera all’estremismo.
E’ una sofferenza ripetere ogni volta la stessa frase: “vi avevamo avvertiti”, come fece il popolo di Seattle nel 1999 paventando la crisi economica mondiale avvenuta nel 2008, come fecero tutti quelli che si posero contro la guerra in Iraqiraq e in Libia.
La Nazione Oscura votò
1) contro la guerra di Siria: https://nazioneoscura.wordpress.com/2013/08/31/guerra-alla-siria-no-alla-colonizzazione-usa/
2) si dichiarò contro la guerra in Libia (ancora non votavamo) e fece queste considerazioni sulla reale situazione della “Libia”: https://nazioneoscura.wordpress.com/wp-admin/post.php?post=126&action=edit
3) ancora prima dell’esistenza di questo blog, si dichiarò contro la guerra in Irak.
I Tre Paesi dove oggi prolifera l’ISIS.
Grazie Occidente.

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Gran finale, ma non a Sanremo: in Libia avanza l’ISIS, l’Italia potrebbe entrare in guerra!


Ultima puntata della Trasmissione "Tale e Quale show"Mentre metà degli italiani sono imbambolati alla tv per vedere il Festival di Sanremo, l’Isis avanza in Libia e arriva a Sirte, affacciata sul Mediterraneo a sole 200-300 miglia marine dall’Italia. “Una situazione che minaccia l’Italia”, è l’allarme del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che avverte: se la mediazione dell’Onu in corso dovesse fallire, siamo “pronti a combattere, in un quadro di legalità internazionale”.
La situazione è molto grave, anche e soprattutto per le inevitabili conseguenti fughe (e stragi) di immigrati verso le coste italiane.
Ma chi se ne frega! Io voglio vedere Caccamo, voglio sfottere la Tatangelo, e ridere su come si vestono senza (voler) sapere che il mio sguardo schernitore fa lo stesso gioco del vero appassionato. Triste è pensare che i numeri del Festival di Sanremo si basino su due elementi: 1. Una grande percentuale di spettatori guarda per denigrare, come si fa al circo con i clown, 2. La tv è sostanzialmente morta, se la confrontiamo con quella degli anni ’80-’90 (sia qualitativamente che come numero di spettatori), quindi è come se il Festival di Sanremo fosse un bastione sul nulla, un’oasi nel deserto televisivo.
Non è giusto invece denigrare chi ama il Festival (veramente), si tratta di musica, che piaccia o meno, ma è bene rendersi conto che il Festival di Sanremo, almeno da 40 anni (dei suoi 65) non ha più pre-corso le tendenze musicali e le mode, ma le ha sempre seguite a debita distanza, anche con un pizzico di snob, lo stesso snob di chi lo guarda ridendo.
Ma se stasera irrompesse al teatro Ariston uno strano personaggio vestito in thawb con in mano un Kalashnikov e smitragliasse recidendo, oltre agli steli dei fiori, le ossa degli elementi dell’orchestra e di qualche malcapitato cantante, sarei assolutamente inorridito, ma non stupito.

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Isis: gay giù dai tetti, roghi di libri e sigarette, vietato ridere in strada


Un articolo preso da “Lettera 43” che qundi ringraziamo e invitiamo a visitarlo.
Montagne di sigarette bruciate, roghi di libri blasfemi, persino il divieto di ridere in strada.
Ma c’è di peggio nei territori controllati dall’Isis, o Daesh, come in arabo si chiamano i jihadisti dello Stato islamico.
Omosessuali gettati dal tetto, oppositori religiosi (anche musulmani) sgozzati o crocefissi, ragazzi fucilati in pubblico per aver guardato una partita di calcio in tivù: gesti continuamente riportati – spesso per immagini – dalle cronache dei media, per loro convintamente normali.
Non solo nel Nord dell’Iraq e della Siria. L’applicazione più estrema della sharia (legge islamica), in atto tra i talebani iconoclasti dell’Afghanistan e del Pakistan – il leader del gruppo della distruzione dei Buddha è lo stesso della strage di bambini alla scuola di Peshawar – è prassi in ogni fortino o lembo di territorio controllato da gruppi dell’Isis.
DECAPITAZIONI A CATENA. Nel Califfato di Derna, in Libia, come a Raqqa, capitale siriana dello Stato islamico, le teste degli infedeli, takfir, vengono tagliate.
In Egitto, nel Sinai infestato dagli affiliati di al Qaeda, casa madre ripudiata dall’Isis, si rapisce e decapita come nella Cabilia algerina, di rimpetto al Mediterraeno.
O a Sud, nel Mali dove le teste dei tuareg finiscono sui banchi del mercato. In Nigeria, i jihadisti pro Isis di Boko Haram massacrano migliaia di civili.
Da Mosul, capitale irachena dell’Isis, è rimbalzato il tweet con la foto di un omosessuale gettato dal tetto per sodomia, davanti a una folla di voyeur partecipi. O se non altro testimoni della sua morte.
Coperto da un passamontagna l’uomo è precipitato nel vuoto dopo che, a terra, un jihadista incappucciato aveva letto la sentenza delle corti islamiche.

ISIS gay
ISIS gay

Non è la prima volta. Dopo la proclamazione del Califfato, nel giugno 2014, lo Stato islamico ha regolarmente giustiziato gay, lanciandoli dagli edifici o lapidandoli.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organo di propaganda dei ribelli con base a Londra, ha denunciato la morte a pietrate di due ragazzi, a Deir Ezzor, per «atti indecenti con i maschi».
Diverse lapidazioni sono state compiute dall’Isis, in Siria e in Iraq, su donne accusate di adulterio, giustiziate anche dai qaedisti rivali di al Nusra.
Altre decine, almeno 150 secondo il ministero per i Diritti umani di Baghdad e in maggioranza curde-yazide, sono state vittime di esecuzioni, nella provincia irachena di Anbar, per il loro rifiuto di sposare i jihadisti dopo la deportazione e riduzione in schiavitù.
Un rapporto delle Nazioni unite ha confermato che nello Stato islamico le donne vengono rapite e rivendute come schiave: l’Isis ha anche pubblicato un tariffario.
E in Rete è circolato un video di una donna accusata di adulterio a Hama, nella Siria centrale, lapidata dal padre con i jihadisti. «Ciò che succede adesso è il risultato di quello che hai fatto», rivendicano i boia.
La lapidazione è una sentenza autorizzata ed eseguita in Stati islamici di stretta interpretazione wahabita del Corano, come l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi, lo Yemen, il Sudan, la Somalia e la Nigeria.
Le vittime sono, in genere, donne punite per l’adulterio o la gravidanza fuori dal matrimonio, anche nei casi di stupro.
Oltre alle lapidazioni, il medesimo gruppo ha diffuso in Rete le notizie di oppositori, anche musulmani, giustiziati e talvolta crocifissi, per essersi rifiutati alla conversione o per altri reati.
Diversi cittadini dello Stato islamico sono stati esposti crocifissi, alla mercé della folla.
È il caso di alcuni «ladri di Mosul» o di una presunta «spia anti-Isis» di Aleppo, legata sulla croce, sgozzata dal boia e da lì trasportata in strada, come in processione, come ha documentato il sito di intelligence Site, che monitora i network islamisti.
Online, l’Isis ha diffuso un suo «codice penale» che prescrive la pena di morte per blasfemia, sodomia e spionaggio, anche se pentiti. Lapidazione per l’adulterio. Morte e crocifissione per omicidi e rapinatori.
Per reati come il tradimento prematrimoniale «100 frustate e l’esilio». Per piccoli furti e frodi varie vale la legge del taglione (amputazione di una mano e/o una gamba). Decine di frustate per chi invece beve alcolici, si droga, diffama o si diverte.
Ad Aleppo, in Siria, i jihadisti hanno spaccato gli strumenti musicali e bastonato i loro possessori.
In Libia, chi è in fuga da Derna racconta di «montagne di sigarette bruciate e del divieto di ridere in strada dei folli dell’Isis».
Un soldato è stato decapitato e i drogati o chi beve sono incatenati e frustati nei centri di disintossicazione.
Non aiuta a frenare il flusso dei sunniti nell’Isis l’invito alle donne del vice premier turco, moderato islamico Bülent Arinç (Akp), di «non ridere in pubblico».
E su quest’ultimo divieto ci sarebbe da riflettere: un regime che vieta di ridere in pubblico sa, profondamente, che c’è solo da piangere.

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Esce Flush.art 3, Arte e morte contemporanea


Esce il terzo numero di Flush-art – Arte e morte contemporanea,
l’irriverente e scioccante appuntamento con la morte in diretta mediatica con il mondo.
Scarica gratuitamente solo se sei maggiorenne e non impressionabile.

Vedi/scarica Flush.art_3.

Flush.art 3
Flush.art 3

Vedi/scarica gli arretrati.
Vedi/scarica/acquista tutte le pubblicazioni di Arte Orrenda-Nasty Art.

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Siria, Mali e Libia: i tre aspetti delle “trasformazioni arabe”


In Siria continuano le stragi di civili, nelle campagne nei dintorni di Homs 106 morti tra uomini, donne e bambini dopo un raid del regime di Bashar al Assad. Ormai pare che l’80% sia in mano dei ribelli e il regime abbia i mesi contati (si parla di 6 mesi). Ma i ribelli chi sono? L’organizzazione Jahbat al-Nusra, per gli Usa vicino ad Al Qaeda, per la Turchia no, ma comunque è sicuramente d’ispirazione jihadista, quindi sempre di guerra in nome di Allah si tratta.
In Mali, infatti, l’organizzazione islamica Shabaab, contro cui la Francia è entrata in guerra, è d’ispirazione Qaedista. Lo confermano i recenti ostaggi in Somalia e Algeria. Allora ci si chiede quali siano le motivazioni dei Paesi occidentali, che fanno guerra e contemporaneamente aiutano le organizzazioni islamiche jihadiste a seconda del contesto.
La risposta è abbastanza semplice e viene dalla Libia: l’Occidente vuole la pace, meglio se democratica.
Intento nobile? Naaaa. Con la guerra non si possono fare affari, con la pace sì. Oltretutto la democrazia non è strettamente necessaria (infatti la Cina va benissimo, la si critica un po’, ma poi si fanno affari insieme: se fossimo veramente democratici avremmo posto l’embargo alla Cina). La Libia serve per il petrolio, come l’Iraq e il Kuwait, punto.
Qualcuno potrebbe comunque non vedere nulla di malvagio nel “fare affari” con Paesi del Terzo mondo, e a questo scopo viene in aiuto l’esempio di un altro Paese africano: la Nigeria. Gli affari petroliferi hanno sicuramente migliorato le condizioni dei Paesi Occidentali che lavorano in Nigeria (primi fra tutti Italia e Regno Unito), ma non hanno assolutamente migliorato le condizioni dei cittadini nigeriani, anzi, spesso è successo il contrario.
Allora a cosa serve “esportare democrazia”? A migliorare le condizioni economiche e sociali dei cittadini dei Paesi Occidentali, che altro non sono che gli elettori di chi è al potere.
Capito il giochino? Questi sono coloro che io chiamo “abbuiati”, in contrasto e polemica con il complottista di turno.

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Elezioni in Libia: vince Gheddafi


Strano vero?
Eppure, se ci pensate bene, la differenza tra un Egitto martoriato dalle rivolte, dove trionfano non meglio identificabili Fratellanza Musulmane, in Libia hanno prevalso i moderati. La libia, come la Tunisia, guarda all’Europa. L’ultima eredità di Gheddafi è un popolo che farà riferimento ai valori della democrazia. Pace all’animaccia sua.

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In Siria si continua a morire in strada


E l’ONU cosa fa? Niente.
Perché allora in Libia si è intevenuti? Per il petrolio.
Bisogna imparare a capire che, per quanto l’Onu sia nata per evitare invasioni di nazioni straniere e garantire i diritti civili, le pressioni di altri organismi internazionali e militari prendono le vere decisioni a livello mondiale.
Chiamare “missioni di pace” gli interventi in Libia, Afghanistan e Iraq è come chiamare sazietà il pranzo. In pratica della guerra si tiene conto solo della sua fine: il trattato di pace.
Ma è giusto che riflettiate su questo: la guerra alla Libia aveva lo scopo primario di garantire una pace necessaria alla stipula di accordi economici prevalentemente petroliferi, secondariamente quello di evitare invasioni di immigrati in Europa e, tre piccioni con una fava, garantire i diritti civili dei libici. Inutile dire che grazie al terzo scopo (in ordine di importanza per la Nato) la Nato ha avuto più consensi dell’opinione pubblica che per altre guerre, ma non dimentichiamoci che gli scopi primari sono altri e che avrebbero fatto anche se l’opinione pubblica fosse stata contrarissima (come è già avvenuto nella Seconda Guerra dl Golfo con addirittura il dissenzo dell’Onu).
Tutto molto semplice, per questo in Siria si continuerà a morire per delle idee per molto tempo (lo si sta facendo da aprile).

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Siamo tutti un po’ Gheddafi


Berlusconi bacia la mano di Gheddafi
Berlusconi bacia la mano di Gheddafi
Gheddafi morto
Gheddafi morente, ucciso dalle milizie ribelli libiche

>>>>>>>>>> È finita come doveva finire: ne avevamo già parlato in agosto, dicendo che Gheddafi aveva vinto la sua personale battaglia perché probabilmente sarebbe stato considerato “martire”.
Infatti, ieri, Gheddafi è stato ucciso dalle milizie ribelli libiche, ma non facciamo gli ipocriti: i mandanti sono la NATO e l’ONU, per quanto avrebbero voluto l’arresto e il processo, ma si sa (o si fa finta di non sapere?) la guerra è guerra, quindi i morti ci scappano a migliaia, anche dei più “eccellenti”.
Ecco l’accostamento di due momenti differenti della vita di Muammar Gheddafi, uno il 27 marzo 2010, l’altro ieri 20 ottobre 2011. Cosa è successo in questi 19 mesi? Il regime di Gheddafi durava da 42 lunghi anni, nell’ultimo anno ha visto inasprire il suo regime? No, è caduto trappola delle proteste (violente e sanguinose!) della primavera araba, appoggiate un po’ da tutto il mondo, Europa e Berlusconi compresi.
Queste due foto, accostate, vi fanno comprendere l’enorme ipocrisia delle persone che conducono i Paesi in nome della democrazia. Capita qui di parlare di Berlusconi, a causa della sua platealità, ma si può dire lo stesso di Nicolas Sarkozy, che ha voluto la guerra in previsione dei vantaggiosissimi contratti petroliferi tra la Francia e la Libia o di Angela Mekel (che secondo noi si sta mangiando le mani per non aver appoggiato la guerra contro la Libia).
Insomma, domandina a persone che prima ti baciano e poi fanno in modo di ammazzarti: perché in Libia s’interviene e in Siria no? Pochi contratti petroliferi? Poco sfruttamento in vista?
L’Europa si difende parlando di timore di destabilizzare l’area. Bene, allora conta di più un’area “stabile” che centinaia di morti ammazzati che protestano per la democrazia.
Da questa risposta si capisce che la motivazione non regge da sola. Esito: in Siria il governo può ammazzare i propri cittadini quanto vuole, tanto all’Europa frega poco, agli Stati Uniti zero, niente baciamano e niente aiuti.

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Yemen: è guerra civile!


A Sana’a, nello Yemen, sono morte almeno 56 persone (cinquantasei!) tra domenica e ieri, secondo medici e testimoni, dopo le dimostrazioni per chiedere la fine dei 33 anni di regime del presidente Ali Abdallah Saleh.
Oggi alcuni razzi e molti colpi di artiglieria hanno colpito un campo di manifestanti.
In pratica, come Tunisia, Egitto, Libia e Siria.
I media europei e italiani sostanzialmente ignorano la notizia, in Italia nelle prime “pagine” dei Tg ci sono nuovamente Sarah Scazzi e Melania Rea e il circo pietoso della collusione sessuale tra spettacolo e politica. Del 56 arabi morti per la propria libertà interessa poco o niente. Questo è il giornalismo televisivo occidentale?

dossier

Il Risiko non è più un gioco: Land Grabbing e nuovo colonialismo


Dossier Land Grabbing I parte.
Il cosiddetto Land Grabbing è il fenomeno di grandi transazioni di terreni, tramite acquisto o leasing pluriennali da parte di Paesi, grandi compagnie, multinazionali o privati incoraggiati dai governi stessi. Detto così sembra quasi un particolare aspetto del commercio internazionale.
In pratica Paesi facoltosi economicamente, ma carenti di terra, si accaparrano milioni di ettari acquisendoli dai Peasi più poveri per creare una riserva alimentare strategica.
A dare il via al Land Grabbing è stata l’Araba Saudita, all’inizio del XXI secolo. Il re Abdullah, monarca assoluto d’Arabia, si è reso conto che i miliardi di dollari che affluivano in proprorzione al miliardi di barili di petrolio venduto, non garantivano una stabilità alimentare. Dopo aver fatto costruire costosissime fattorie nel deserto con acqua desalinizzata e ampi pascoli irrigati, ha deciso di acquistare migliaia di ettari di terreno in Etiopia per coltivare riso e cereali a buon prezzo per le esigenze del suo regno. Visto che la cosa funzionava ha cercato di comprare altri terreni in altri Paesi. Cominciando a incontrare una certa resistenza ha aggirato il problema prendendo in affitto immensi appezzamenti di terreno in Zambia e in Tanzania (con formula leasing di 99 anni, in pratica: li ha comprati per un secolo).
La Cina non è rimasta certo a guardare, perché (a causa degli elevati indici di crescita demografica è sempre alla ricerca di risorse alimentari e minerarie.
Il governo di Pechino ha quindi dato il via a un vero e proprio rastrellamento di terreni su scala mondiale. 80.400 ettari di terra acquistati in Russia, 43.000 in Australia, 70.000 in Laos, 7.000 in Kazakhstan, 5.000 a Cuba, 1.050 in Messico. Quindi gli interessi cinesi sono passati in Africa: 2.800.000 ettari in Congo, 2.000.000 di ettari in Zambia, 10.000 in Camerun, 4.046 in Uganda e per il momento 300 ettari in Tanzania. Inoltre ha preso in affitto migliaia di ettari in Algeria, in Mauritania, in Angola e in Botswana.
Dopo la Cina è arrivata un’altro Paese con le stesse esigenze (sovrappopolazione, carenza alimentare e mineraria): l’India.
Il governo di nuova Delhi al momento ha acquisito 50.000 ettari in Laos, 69.000 in Indonesia, 10.000 in Paraguay, 10.000 anche in Uruguay. Poi ha scoperto gli sterminati territori argentini e si è accaparrato 614.000 ettari di terreno argentino, e in Africa 370.000 ettari in Etiopia, 232.000 in Madagascar, 289.000 in Malesia.
Dietro a questi colossi si muovono i Paesi più piccoli, che utilizzano i propri colossi multinazionali. Daewoo e Hyundai stanno comprando, appoggiati dal governo della Corea del Sud terreni in tutta l’Africa. Inoltre, Qatar, Bahrain, Emirati Arabi Uniti hanno acquistato centinaia di migliaia di ettari di terreno fertile in Africa e in Sud America. La Libia ha barattato un contratto di fornitura di gas all’Ucraina in cambio di 247.000 ettari di terreno.
Dietro a questi Paesi “affamati di terre”, i Paesi occidentali (del “primo mondo”) non potevano restare a guardare e, grazie alle multinazionali alimentari e minerarie, hanno cominciato a comprare terre a buon prezzo in tutto il mondo. Questi Paesi hanno esigenze lievemente diverse, in quanto cercano anche terreni per produrre agro-carburanti.
Una vera e propria febbre dell’oro verde che, dopo l’impennata dei prezzi dei generi alimentari del 2006, ha trasformato la terra nel business più redditizio del prossimo futuro. Nel 2007 e 2008, 20.000.000 di ettari di terreni dei Paesi poveri (quasi quanto mezza Italia) sono stati venduti, affittati o fatti oggetto di negoziati con società o governi stranieri.
Leggi la Parte II.

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Guerra civile in Siria: nuove opportunità di vendita di armi e bombe


Parliamo della guerra civile in Siria, dopo il massacro di Hama, dove sono state uccise più di cento persone. Noi avevamo già segnalato la leggerezza con cui i governi occidentali e i media sembravano affrontare la questione, usando i termini di “rivolta siriana”. Ma bisognava arrivare ai massacri pubblici per convincerli di ciò che avevamo già capito da subito.
Ora, la guerra civile siriana somiglia tanto a quella libica prima dei raid della Nato.
Facciamo una previsione. Entro un mese la Nato comunicherà le nuove coordinate alle proprie flotte, che dalla Libia si sposteranno nei cieli di Siria, scaricando nuove bombe con le stesse modalità.
I segnali ci sono tutti: i governi occidentali hanno cominciato a richiamare gli ambasciatori e qualcuno ha già paventato un ultimatum.
In fondo sarebbe una nuova opportunità per vendere un sacco di materiale bellico invenduto che potrebbe risollevare un po’ la disastrosa congiuntura economico-finanziaria…
Bashar al Assad come Gheddafi, insomma: prima un normale referente diplomatico, adesso un criminale da eliminare dallo scacchiere mondiale.
Ora: immagino che chi appoggia la guerra in Irak, in Afghanistan e in Libia appoggerà anche quella in Siria e perché no in Yemen… e poi?

P.S. Ci teniamo a precisare che la nostra posizione nei confronti di Assad come per tutti i governi non eletti democraticamente, o eletti democraticamente ma che governano in modo autoritario è di totale disapprovazione.

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Giappone e Libia: nuove non nuove


Nuovo forte sisma nel nord del Giappone: 6,4 Richter, epicentro non lontano da quello del sisma catastrofico dell’11 marzo. La centrale nucleare di Fukushima “sembra a posto”. Ci chiediamo solo come si possa vivere con il costante timore che succeda qualcosa.
Nuovo raid Nato in Libia. Almeno tre giornalisti sono morti e 15 dipendenti sono rimasti feriti nei bombardamenti della Nato contro la sede della tv di regime libica a Tripoli. La tv continua a trasmettere, il suo direttore denuncia “un atto di terrorismo internazionale”. Questo a qualche giorno dall’assassinio del generale Abdel Fattah Younes, massimo responsabile militare delle forze rivoluzionarie libiche, che rilancia con gravità la questione delle divisioni interne al fronte anti-Gheddafi, come più volte noi abbiamo fatto notare.

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Siete ancora a favore della guerra alla Libia?


E’ un interrogativo che si vorrebbe fare a tutti coloro che erano favorevoli alla guerra e che evidentemente speravano in una guerra-lampo. Ora che il lampo è diventato temporale e pian piano si trasforma in diluvio: siete ancora favorevoli?
Immagino di sì, perché la cosa più difficile, negli uomini, è quella di ammettere di aver sbagliato (solo i più intelligenti, tra quelli meno intuitivi, sono in grado di certe ammissioni). Oggi il Consiglio superiore della Difesa italiana dice che l’Italia andrà avanti fino alla fine (anche se fosse tra 30 anni?).
Possibile che noi, piccoli opinionisti idealisti, utopici, intellettualisti, provinciali e tutto ciò che volete, avevamo esattamente previsto come sarebbe andata a finire la guerra? E’ facile parlare a posteriori, ma noi, come potete verificare in queste stesso blog, ne avevamo parlato PRIMA.
Notiamo molte analogie tra gli analisti politici, quelli economici e, oserei, quelli meteorologici. Agenzie importanti e strapagate che non hanno previsto (o non hanno voluto) la più grande crisi economica degli ultimi 50 anni (quella del 2008), proprio come i meteorologi non sanno prevedere il prossimo uragano. E, ancora oggi, la maggioranza (se esiste ancora) persevera a credere (e dipendere) da economisti, politici e meteorologi (e aggiungiamoci anche gli astrologi e i cartomanti, le loro previsioni sono allo stesso livello).
Ecco la nostra previsione, in qualità di cittadini orgogliosamente italici ma extraitaliani:
La guerra in Libia era, è e sarà una strada senza uscita, tra qualche mese le forze della NATO dovranno abbandonare il territorio gradualmente, lasciando la Libia solo apparentemente libera, in realtà libera a macchia di leopardo, con guerriglieri filogheddafi asserragliati nelle oasi e ovunque. Lasceranno un territorio con la popolazione impoverita, politicamente frammentato – con il petrolio in mano ai soliti – e in gran parte distrutto.
Non valeva forse la pena che i libici provassero a combattere il regime di Gheddafi da soli, magari impiegandoci anni, ma ritrovandosi un Paese unito e non distrutto? O, ipotesi, troppo ottimista, che si dividessero in due paesi, Tripolitania e Cirenaica, invece di rispettare i confini fatti con il righello dall’Europa?
No, naturalmente, troppo idealismo! E poi perché pochi, e meno di tutti i militari, sono abbastanza intelligenti per cambiare idea.
Buona guerra a tutti!
P.S: in guerra si muore, è dimostrato.

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La rivolta “silenziosa” della Siria e il chiasso di Sarah Scazzi


L’esercito siriano ha scoperto una fossa comune contenente i cadaveri di alcuni esponenti delle forze di sicurezza a Jisr al-Shughur, la citta’ controllata dai ribelli dove oggi sono entrati con i carri armati i militari.
Comprendiamo come i media di massa debbano scegliere le notizie, soprattutto alla luce dei numerosi avvenimenti che la Primavera Araba sta provocando in Paesi come Libia, Yemen, Iran e Siria, nonché di episodi europei (come gli indignados cui aggiungerei gli “indignati italiani” delle elezioni amministrative e del referendum). Ma voi siete assolutamente consapevoli della preferanza assoluta di futili cronachette nere (Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea e Matthias Schepp) rispetto a questo tipo di notizie?
Basta la consapevolezza. Quella che potrebbe espandere il parziale ammutinamento elettorale anche verso i media.
Come per esempio una bella protesta fuori degli studi televisivi di questi sudici, sozzi, patetici produttori televisivi.

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La NATO bombarda i ribelli in Libia


La Neorepubblica Kaotica di Torriglia si unisce alle proteste di Bengasi contro gli “errori” dei bombardamenti NATO avvenuti a Brega.
Virgolettiamo il termine errori in quanto sosteniamo che in guerra gli errori siano piuttosto “effetti collaterali” che fanno parte inevitabilmente della guerra da bombardamento aereo e quindi non solo prevedibili, ma già preventivati (come del resto avevamo preconizzato noi in questo stesso blog all’inizio della guerra).
Mentre Gheddafi si sta rafforzando, i sostenitori della guerra si tengano pronte delle scuse per continuare ad appoggiare i bombardamenti NATO.

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Sulla guerra alla Libia


La NeoRepubblica Kaotica di Torriglia dichiara la propria neutralità nell’imminente conflitto contro la Libia, nonostante deplori assolutamente l’operato, la politica e il governo di Gheddafi.
La risoluzione è stata firmata dall’ONU e noi, per nostra scelta, non facciamo parte di quest’organizzazione.
Su diversi telegiornali si è già parlato di lancio di missili Cruise su Tripoli. Noi ci auguriamo che questi missili non colpiscano la popolazione civile, già torturata dall’ignobile regime tripolitano (ma non ne siamo per niente sicuri). Diversi telegiornali già propagandano i Cruise come “precisi al metro”, anche se esiste una lunga lista di errori anche di diverse decine di metri.
Vista l’unanimità apparente dell’intervento, siamo infine curiosi di ascoltare le ragioni dei cosiddetti pacifisti. Noi non ci siamo mai definiti tali e il Capo di Stato stesso ha sempre dichiarato, pur essendo vicino alle loro posizioni, di non essere assolutamente pacifista, pena l’esclusione della guerra contro il potere dittatoriale.
L’Italia stessa, prima di 150 anni fa, è riuscita a unificarsi grazie a continue guerre (d’Indipendenza), morti eroiche, compresi anche attacchi “kamikaze” (Pietro Micca). Quindi essere pacifisti integralisti è evidentemente retorico.
In ogni caso, sospendiamo il giudizio su questa guerra, ma ci piacerebbe sentire un po’ più di dibattito, soprattutto da uno dei Paesi limitrofi (l’Italia), di cui una parte ha di recente firmato un accordo di amicizia con colui che adesso bombarda (ma, si sa, le idee si cambiano) e l’altra ha sempre ripudiato la guerra, tranne ora (e anche qui, le idee sono come il vento: passano).
Ogni accusa di incoerenza (da destra e da sinistra) dovrebbe essere fatta soltanto dopo un’attenta autoanalisi.

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Libia in fiamme, Europa in panne


[dall’agenzia AGI]:
Libia ormai sull’orlo della guerra civile. Nel settimo giorno di rivolta la protesta ha infiammato Tripoli accrescendo la pressione su Muammar Gheddafi che potrebbe essere gia’ in volo per il Venezuela, mentre circolano voci di un golpe militare. La situazione nella capitale libica si aggrava minuto dopo minuto. Testimoni oculari riferiscono che dopo aver aperto il fuoco con le mitragliatrici gli aerei da guerra libici hanno sganciato bombe in molti punti della capitale contro i manifestanti. Si parla di centinaia di vittime. Mentre in tutte le basi aeree italiane il livello di allerta sarebbe ormai massimo. Nella capitale sono decine di migliaia i manifestanti anti-regime nelle strade, bersagliati dai tiri dell’artiglieria e dalle mitragliatrici degli aerei dell’aviazione militare che stanno sorvolando la capitale.
La folla ha dato alle fiamme molti edifici governativi tra cui il Palazzo del Popolo, in cui si riunisce il Parlamento, il ministero dell’Interno e il quartier generale dei Comitati popolari, diretta emanazione del regime. Il bilancio dei morti e’ ormai fuori controllo e si parla di centinaia di morti solo nel raid aereo mentre le ong, prima del raid, avevano portato il numero dei morti delle proteste degli ultimi giorni fino a 400 vittime.

La NeoRepubblica Kaotica di Torriglia condanna la repressione libica e così facendo, fa esattamente come l’Ue, inutile dire che un’unione da 350 milioni di abitanti dovrebbe fare qualcosina in più di una condanna assolutamente ovvia e ininfluente.

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Next target: Gheddafi


I recenti disordini in Libia, Bahrein, Yemen e Gibuti che seguono i rovesciamenti dei governi tunisino ed egiziano sono segni che la volontà popolare araba è viva e vegeta, come ha sempre dimostrato il popolo iraniano che purtroppo non è ancora riuscito a realizzare una vera democrazia.
Muammar Gheddafi è il leader più longevo del mondo arabo ed è al potere da 41 anni. Non dimentichiamo che si dichiara leader della rivoluzione socialista e che è appoggiato da alcune democrazie, prima fra tutte quella italiana. Questo ridicolo corto circuito di contraddizioni pone Gheddafi in una posizione diversa dal resto dei leader del mondo arabo.
La NeoRepubblica Kaotica di Torriglia ricorda inoltre che la Libia è una delle tante espressioni geografiche create col righello dall’Occidente. Sarrebbe veramente democratico che la Cirenaica si scindesse dalla Tripolitania in modo da formare due governi democratici; una secessione che potrebbe essere un segnale della vera volontà popolare indigena. Potrebbe essere l’inizio di una catena che farebbe bene al Kurdistan e al governo pseudodemocratico di Hamas in Palestina.