Gli Usa hanno ucciso in un raid nello Yemen Qasim al-Raym, leader della fazione yemenita di Al-Qaeda.
NeoRepubblica di Torriglia + Livorno Città Aperta / Lukha B. Kremo's Blog since 2010
Gli Usa hanno ucciso in un raid nello Yemen Qasim al-Raym, leader della fazione yemenita di Al-Qaeda.
Gli Usa accusano l’Iran per gli attacchi con i droni contro due importanti raffinerie saudite, ufficialmente rivendicati dai ribelli yemeniti alleati della’Iran. Per il segretario di Stato Usa Pompeo “non c’è alcuna prova che gli attacchi siano arrivati dallo Yemen” e accusa direttamente l’Iran. Riad ha fermato temporaneamente la produzione nelle due raffinerie colpite, interrompendo circa metà della produzione totale. Sale il rischio della risalita del prezzo del petrolio sopra i 100 dollari al barile.
L’avvio del ritiro dei militari a maggio 2019 dal porto di Hodeidah non bastano per ridurre la pressione sui civili, che da oltre quattro anni pagano le conseguenze più gravi di un conflitto di cui i media parlano poco.
In Italia si dibatte per la prima volta sulla produzione, la vendita e l’invio di materiale bellico nella Penisola arabica (e a decine di Paesi di tutto il mondo, ma in Yemen si continua a vivere in uno stato di guerra permanente.
La Corea del Nord non ha messo fine al suo programma missilistico e nucleare continuando a violare le sanzioni imposte dall’Onu. L’accusa è contenuta in un rapporto di esperti presentato venerdì al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tra le violazioni vengono citati “un ingente aumento nei trasferimenti illegali di petrolio da nave a nave” e la fornitura di “armi leggere e altro equipaggiamento militare” a Libia, Yemen e Sudan.
Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo “per tenere i terroristi dell’Islam radicale fuori dagli Usa”. Si tratta dell’annunciato decreto sui “controlli accurati” per i rifugiati che arrivano da Paesi considerati a rischio.
I Paesi sono: Iraq, Iran, Yemen, Libia, Somalia, Sudan e Siria.
L’attacco aereo è avvenuto a Sanaa, l’obiettivo era colpire la cerimonia funebre del padre di Jalal al Ruwishan, ministro dell’Interno dell’autoproclamato governo sciita degli Houthi. La guerra civile contrappone dal marzo del 2015 la fazione vicina all’Iran al governo riconosciuto internazionalmente sostenuto da Riad.
Tra i morti c’è anche il sindaco di Sana’a, Abdul Qader Hilal. Mentre non si conosce ancora la sorte del generale Jalal al Ruwishan, nuovo ministro dell’Interno e figlio del precedente ministro.
Un attacco kamikaze in Yemen ha provocato almeno 50 morti e oltre 60 feriti. L’attentatore suicida si è lanciato con un’autobomba contro una scuola utilizzata per il reclutamento dei soldati nel quartiere di Al-Mansoura ad Aden, capitale provvisoria che si trova a sud dello stato arabo ed è da mesi teatro di numerosi attentati e attacchi, alcuni rivendicati dallo Stato islamico e da Al Qaeda.
Abbiamo molt a cuore l’argoento Ilaria Alpi, per cui riportiamo l’articolo di “Repubblicaonline” di Manlio Dinucci che ringraziamo:
“La docufiction «Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio» getta luce, soprattutto grazie a prove scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, sull’omicidio della giornalista e del suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché avevano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca.
In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia.
Anche se nella docufiction non se ne parla, risulta che una nave della Shifco, la 21 Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense col nome di Urgull), si trovava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una operazione segreta di trasbordo di armi statunitensi rientrate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si consumò la tragedia della Moby Prince in cui morirono 140 persone.
Sul caso Alpi, dopo otto processi (con la condanna di un somalo ritenuto innocente dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro commissioni parlamentari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria Alpi aveva scoperto e appuntato sui taccuini, fatti sparire dai servizi segreti. Una verità di scottante, drammatica attualità.
L’operazione «Restore Hope», lanciata nel dicembre 1992 in Somalia (paese di grande importanza geostrategica) dal presidente Bush, con l’assenso del neo-presidente Clinton, è stata la prima missione di «ingerenza umanitaria».
Con la stessa motivazione, ossia che occorre intervenire militarmente quando è in pericolo la sopravvivenza di un popolo, sono state lanciate le successive guerre Usa/Nato contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e altre operazioni come quelle in corso nello Yemen e in Ucraina.
Preparate e accompagnate, sotto la veste «umanitaria», da attività segrete. Una inchiesta del New York Times del 24 marzo 2013) ha confermato l’esistenza di una rete internazionale della Cia, che con aerei qatariani, giordani e sauditi fornisce ai «ribelli» in Siria, attraverso la Turchia, armi provenienti anche dalla Croazia, che restituisce così alla Cia il «favore» ricevuto negli anni Novanta.
Quando il 29 maggio scorso il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato un video che mostra il transito di tali armi attraverso la Turchia, il presidente Erdogan ha dichiarato che il direttore del giornale pagherà «un prezzo pesante».
Ventun anni fa Ilaria Alpi pagò con la vita il tentativo di dimostrare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta apparire ai nostri occhi.
Da allora la guerra è divenuta sempre più «coperta». Lo conferma un servizio del New York Times (7 giugno) sulla «Team 6», unità supersegreta del Comando Usa per le operazioni speciali, incaricata delle «uccisioni silenziose». I suoi specialisti «hanno tramato azioni mortali da basi segrete sui calanchi della Somalia, in Afghanistan si sono impegnati in combattimenti così ravvicinati da ritornare imbevuti di sangue non loro», uccidendo anche con «primitivi tomahawk».
Usando «stazioni di spionaggio in tutto il mondo», camuffandosi da «impiegati civili di compagnie o funzionari di ambasciate», seguono coloro che «gli Stati uniti vogliono uccidere o catturare».
Il «Team 6» è divenuta «una macchina globale di caccia all’uomo». I killer di Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti. Ma la verità è dura da uccidere.”
A domanda complessa, risposta semplice:
La decapitazione del chierico sciita saudita Nimr al-Nimr non ha nulla a che vedere con l’insostenibile accusa di sedizione e terrorismo per cui è stato giustiziato. Lo sheik del governatorato del Qatif è stato ucciso con il deliberato proposito di sabotare il processo di distensione della comunità internazionale con l’Iran, ed impedire quindi a Tehran di emergere nel sempre più caotico quadro politico mediorientale.
L’ascesa al trono di Re Salman, nel gennaio del 2015, era stata accolta con un tiepido favore dalla comunità internazionale, ritenendo l’anziano sovrano una tra le migliori alternative possibili in seno all’eterogenea famiglia reale degli al-Saud.
Il suo stato di salute, tuttavia, già compromesso all’atto della nomina, è radicalmente peggiorato nel corso dell’anno, riducendo in tal modo la capacità del monarca e spalancando al tempo stesso le porte alle sfrenate ambizioni di suo figlio Mohammad bin Salman al-Saud e suo nipote Mohammed bin Nayef al-Saud, rispettivamente deputy crown prince e ministro della difesa.
A marzo del 2015 il giovane principe Mohammad venne messo a capo della coalizione a guida saudita che avrebbe dovuto sedare la rivolta degli Houti sciiti in Yemen, riportando il destituito governo filo-saudita al potere.
Lo scontro sciiti-sunniti, in tal modo propinato, è diventato il leitmotif di una sempre più stereotipata capacità di analisi occidentale sulla regione. Il conflitto in atto non riguarda la sfera confessionale, ma è tutto interno al mondo arabo della regione, dominato dall’anacronistica visione identitaria del wahabismo e oggi profondamente scosso dalla concreta possibilità di collasso di tutte quelle entità statuali che per un secolo hanno dominato la penisola araba attraverso il ruolo di modeste quanto autoritarie dinastie regnanti.
Questo è un atto di accusa. Verso tutti i governi coinvolti e i loro doppi giochi. Verso le degeneri ideologie religiose, verso il colonialismo globale degli Usa e l’autoritarismo della Russia, verso i terroristi. Ma è anche un suggerimento. Perché le accuse devono essere seguite da ipotesi costruttive.
Dopo questa introduzione, leggetevi le schede proposte (linkate), complete di esaustive cartine.
Per scelta, questo articolo NON comprende alcune teorie dietrologiche anche se assolutamente valide, ma si attiene soltanto ai FATTI.
La chiave di lettura del disassetto del Medio Oriente e non solo e il conseguente esodo di questi giorni è la contrapposizione di quattro poteri forti: gli Stati Uniti, la Russia, l’Islam sunnita e quello sciita.
Durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica era alleata con gli sciiti, con l’Asse Urss-Iran. Discorso analogo l’alleanza tra Usa e sunniti, con l’asse Usa-Arabia Saudita, con la complicazione dal rapporto privilegiato Usa-Israele. I rapporti economici tra Israele e Sauditi anticipavano già le contraddizioni odierne, acuitesi dopo la fine della (prima) Guerra Fredda.
Una volta caduto il tabù della guerra nucleare tra superpotenze, la politica estera degli Stati Uniti è cominciata via via a essere sempre più “rilassata” nei confronti di nazioni che prima appartenevano al blocco sovietico (Europa dell’Est e Iran).
In Europa il frettoloso allargamento della NATO (che ha inglobato le repubbliche baltiche Lituania, Estonia, Lettonia) fino ad avviare trattative con l’Ucraina, ha aggravato il contrasto etnico tra ucraini e russi all’interno del Paese. Naturalmente la Russia è risentita dell’atteggiamento degli Stati Uniti che continuano a sanzionarla.
(Vedi la scheda “Ucraina”).
Nel frattempo lo scontro tra sunniti e sciiti si è aggravato per due motivi: l’allentamento delle alleanze con gli alleati storici, ma soprattutto l’avanzamento di ideologie salafite (e quindi fondamentaliste e jihadiste) in tutto il Medio Oriente. Le conseguenze sono state più estreme del previsto: 11 settembre, Al Qaeda e Stato Islamico hanno fatto in modo che Russia e Stati Uniti si trovassero coinvolti unitamente nello stesso punto strategico: la Siria e l’Iraq.
(Vedi le schede “Siria”, “Stato Islamico e Iraq”).
Lo scontro tra sciiti e sunniti però si gioca tra Arabia e Iran e la scintilla è scoccata con la guerra in Yemen (Vedi le schede “Yemen e Arabia Saudita” e la scheda “Iran”).
La partita oggi si gioca in 4 e le vecchie alleanze non hanno più l’esclusività di un tempo (ci sono alleanze incrociate, temporanee o ambigue). Resta alla periferia dal gioco la disastrosa situazione in Libia (vedi la scheda “Libia”) e l’annosa questione tra Israele e Palestina (che qui non affrontiamo in quanto lo abbiamo fatto già atre colte).
Nella varie schede ho descritto sommariamente, ma in modo accurato con cartine molto precise, la situazione etnica e religiosa, quella delle forze in campo, le alleanze ufficiali e le accuse reciproche a ogni attore politico. Questa parte è composta solo da fatti, nessuna opinione, né personale né dietrologica è contemplata. La schede terminano con un commento personale super partes e dei suggerimenti personali, questi sì ideologici.
Come potrete comprendere leggendo le schede, i governi sono interessati soprattutto ai vantaggi economici, le democrazie mettendo in primo piano solo i diritti civili dei propri cittadini, i regimi nemmeno questo.
L’Onu persegue la vecchia politica dell’integrità nazionale (come nel congresso di Vienna del 1815), mettendo in secondo piano il principio di autodeterminazione dei popoli.
Per perseguire entrambi questi principi termino questa introduzione con l’esempio del Libano.
Il Libano è sempre stato abbastanza stabile, vista l’assenza di una netta maggioranza sciita o sunnita all’interno del Paese. Il potere è distribuito ugualmente: il presidente del governo libanese deve essere un cristiano, il primo ministro un sunnita e il portavoce del parlamento uno sciita. I conflitti si concentrano principalmente nel nord del Paese, ai confini con la Siria, dove il gruppo militante sciita degli Hezbollah sostiene il governo di Bashar al-Assad.
La chiave sciiti contro sunniti e dei loro vecchi alleati, spiega solo in parte lo scontro nel e sul Golfo. Spiega ancor di più, e meglio, un’altra chiave di lettura: la crisi di legittimità dei poteri e la conseguente crisi ideologica.
Lukha B. Kremo, 11 settembre 2015
[tratto da “J’accuse (e Je Suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015]
Situazione etnico/religiosa:
L’Arabia è detta saudita perché è una monarchia assoluta in mano alla famiglia Saud. I sunniti hanno la stragrande maggioranza. Il regime appoggia l’islamismo salafita, nella fattispecie il wahabismo, che meritano un piccolo approfondimento.
Le teorie salafite nascono e si affermano nel corso di secoli: Ibn Taymiya era un giurista e teologo siriano vissuto nel XIV secolo, la cui teoria era che i testi sacri del Corano e della Sunna potevano essere interpretati individualmente. nel XVIII secolo anche Mohammed Ibn Abdel Wahab (1703-1792; fondatore del Wahabismo) vuole ritrovare un Islam puro. L’ultimo movimento salafita di rilievo, in ordine di tempo, a’ stato poi quello di Hassan al Banna che ha fondato nel 1928 l’Associazione dei Fratelli Musulmani. In questo caso, rispetto ai predecessori, il teologo egiziano introduceva una variante: l’utilizzo dell’Islam come strumento politico per la guida delle masse. Negli anni ’50 un altro egiziano, Sayyed Qutb (1906-1966), anch’egli membro dei Fratelli Musulmani, teorizzerà sul fronte del salafismo politico la lotta armata per prendere il potere sui capi arabi “empi” ed il ripristino di uno Stato islamico. Qutb è stato il referente ideologico di molti movimenti terroristici, non ultimo Al Qaeda.
Il salafismo quindi è diventato irredentismo, nazionalismo di matrice araba, lotta al consumismo e al lassismo dei costumi dell’Occidente, fino ad arrivare al Jihad ed al terrorismo islamico. I suoi principali rappresentanti sono oggi i Fratelli Musulmani (il partito che aveva vinto le elezioni in Egitto prima di essere destituito l’anno scorso) ed il wahabismo (oltre a quella pletora di sigle e organizzazione che compaiono periodicamente nel panorama mediorientale).
L’aspetto più pericoloso del wahabismo è l’alimentare una cultura religiosa di intolleranza e una lotta endogena senza quartiere verso quelli che non accettano le teorie salafite (l’adorazione dei santi e degli uomini pii è considerata alla stregua del politeismo) e tutti i sunniti moderati, come le confraternite sufi.
In Yemen (riunificatosi nel 1990 dopo la caduta dell’Unione Sovietica), i territori del nord-ovest vedono la maggioranza di sciiti zayditi Houthi, mentre il resto del Paese è a maggioranza sunnita.
La parte orientale del Paese è comunque sotto il controllo delle milizia di Al Qaeda (vedi mappa politico-religiosa dello Yemen, a fine articolo). Il presidente eletto nel 2012 Abd Rabbih Mansur Hadi (unico candidato).
Situazione sul campo:
Nel gennaio 2015 il presidente Abd Rabbih Mansur Hadi viene obbligato alle dimissioni dalla rivolta degli Houthi, che s’impadroniscono della capitale San’a.
La guerra si estende alla vicina Arabia Saudita, e assume sempre più i connotati di una resa dei conti tra Arabia Saudita e Iran, tra sunniti e sciiti. Non è propriamente un’azione di guerriglia, e nemmeno un’operazione senza ritorno, ma una vera e propria operazione di guerra, da esercito, pianificata nei minimi dettagli, non da milizia jihadista: i ribelli Houthi si sono infiltrati in Arabia Saudita e hanno attaccato Najran, città di confine.
Gli sciiti provano ciò cui Osama bin Laden ambiva ma che con la sua al Qaeda non era riuscito a realizzare: destabilizzare il regno saudita.
L’Iran, infatti, ha proprio negli Houthi il suo principale strumento di influenza nello Yemen. Sfruttando la comune appartenenza allo sciismo, l’obiettivo del regime iraniano sarebbe quello di favorire la creazione di un movimento per certi versi simile al libanese Hezbollah.
Ulteriori preoccupazioni geopolitiche arrivano dallo stretto di Bab-el-Mandeb. Da qui passano le rotte che collegano il mar Mediterraneo all’Oceano Indiano, attraverso il canale di Suez e il mar Rosso e da qui passa il 63% della produzione di greggio mondiale.
Gli Stati Uniti e la Francia, per tranquillizzare l’alleato Usa e NATO, sia per questa guerra e soprattutto dopo l’accordo tra Usa e Iran sul nucleare, vedi scheda dell’Iran) stanno armando i Sauditi.
La guerra rischia di deflagrare dallo Yemen alla confinante Arabia Saudita.
Visto il regime assolutistico dell’Arabia è quindi importante analizzare chi davvero comanda in questo Paese: Abd Allah, il re dell’Arabia Saudita, ha appena compiuto 90 anni. Ecco allora il settantanovenne Salman Bin Abdulaziz Al Saud, dar vita a una rivoluzione di palazzo, che porta l’ex ambasciatore a Washington. Rottamazione che non risparmia anche i parenti più stretti di re Salman, come il principe-fratello Muqrin, dimessosi di “sua spontanea volontà” per fra posto al principe-nipote Nayef, 55 anni, ministro dell’Interno, gran mastino dell’antiterrorismo e il trentenne figli di Salman, Mohammad Bin Salman.
Ma non si sa chi comandi davvero a Riyad. La classe dirigente incredibilmente ricca e potente che custodisce il luogo più sacro dell’islam, la Mecca, rappresenta un enigma inquietante. L’occidente da decenni la considera un baluardo da sostenere e da armare. Un intreccio di investimenti finanziari la lega indissolubilmente alle nostre economie. Perfino Israele gioca di sponda, pur senza dichiararlo, con la dinastia che fronteggia l’Iran e che da un lato dichiara di voler debellare il movimento dei Fratelli Musulmani, tanto da isolare la stessa Hamas nella morsa di Gaza, dall’altro alimenta un islam salafita, estremista, fondamentalista e anche jihadista. Le milizie dell’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi godono di un indiretto ma decisivo supporto di Riad. Mai rivendicato, ma neppure smentito.
Posizioni ufficiali:
L’Onu ha aperto una discussione sulla guerra Yemenita. Gli Stati Uniti e l’Europa sono per l’integrità nazionale di Arabia e Yemen, quindi contro lo sconfinamento Houthi.
L’Iran appoggia gli Houthi yemeniti ufficialmente solo in Yemen.
Al Qaeda si è momentaneamente alleata con gli sciiti Houthi.
Accuse:
I Sauditi fanno il doppiogioco, nemmeno tanto segretamente, appoggiando la politica Usa e schierandosi contro gli estremisti sunniti deboli (Hamas), ma favorendo gli estremisti sunniti vincenti (prima Al Qaeda, ora L’IS), la rivoluzione di palazzo potrebbe essere solo presunta e il doppiogioco farsi soltanto più sottile.
L’Iran appoggia con armi e milizie gli sciiti Houthi dello Yemen contro l’Arabia.
Gli Stati Uniti e la Francia armano l’Arabia per tranquillizzarla sui nuovi accordi con l’Iran.
Israele fa affari con i Sauditi, mentre riceve armi, rassicurazioni e garanzie dagli Usa.
Al Qaeda, nonostante sia sunniti, si allea ambiguamente con gli sciiti Hothi per combattere l’Arabia Saudita.
Commento:
Nonostante le apparenze, nessuno combatte per i propri ideali, ma per un ritorno economico. I governi coinvolti (da Stati Uniti ad Arabia, dagli Houthi yemeniti ad Al Qaeda, da Israele all’Iran) sono disposti ad allearsi, fare affari e persino prendere o dare armi al nemico, mentre segretamente prendono altrettanti accordi con la fazione opposta.
Per superare questa situazione bisognerebbe innanzitutto eliminare il wahabismo, cioè il fondamentalismo religioso dallo Stato. Meglio ancora, dove possibile, creare stati laici, come in Egitto. A questo punto riequilibrare sciiti e sunniti in base a ciò che succede nel nord dell’Iraq (vedi scheda dello Stato Islamico e Iraq).
Previsioni:
La guerra verrà fermata dall’Arabia grazie all’apporto Usa. Ciò non avverrà in tempi brevi, viti i problemi più urgenti in Siria.
Molto più difficile prevedere la linea culturale religiosa seguita dai giovani Saud, visto che si tratta di pochi personaggi. Se prevale la linea moderata, tutti i punti caldi si raffredderanno, viceversa le guerre si accenderanno e saranno più numerose.
Suggerimenti:
Il migliore: 1) Eliminare la dinastia Saud e instaurare uno Stato moderato in Arabia (non necessariamente subito una democrazia, è ormai provato che molti dei paesi arabi, a causa della società di tipo tribale, necessitano di forme democratiche che non si basano sul suffragio universale). Creare un governo di unità nazionale in Yemen, equilibrato politicamente per costituzione (equilibrio zayditi e sunniti nelle istituzioni).
In alternativa: 2) Far prevalere l’ala moderata dei Saud tramite accordi e sanzioni internazionali.
Secessione dello Yemen in due parti, nel nord-ovest governo zaydita, nel sud e nell’est governo sunnita.
(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)
Situazione etnico/religiosa:
L’ISIS (o ISIL, Stato Islamico del Sud e del Levante), recentemente ridenominato semplicemente IS (Stati Islamico) è un califfato autoproclamato unilateralmente da Abu Bakr al Baghdadi (che ha preso il nome di Califfo Ibrahim), nei territori del nord Iraq. L’IS è uno stato islamico sunnita fondamentalista e jihadista. L’obiettivo finale è il jihad globale, la guerra santa dell’Islam contro tutti gli infedeli del mondo. Con un “sogno”: conquistare Roma, il simbolo della cristianità. Il califfo ha chiesto esplicitamente ai musulmani di ribellarsi ai governi nazionali (dal Nord Africa alle Filippine) in favore dell’annessione allo Stato Islamico.
Ha lo stesso progetto e lo stesso modo per perseguirlo di Al Qaeda con la fondamentale differenza del controllo sul territorio. Al Qaeda non ha mai avuto il controllo su un preciso territorio. L’Afghanistan ha rappresentato una base negli anni del regime talebano, ma Osama Bin Laden non ha mai avuto un ruolo politico durante la dittatura taliban a Kabul. Attualmente Al Qaeda ha le sue basi nelle zone tribali del Pakistan, nello Yemen orientale e in zone tribali del Sudan, ma senza veri ruoli politici statali. Le truppe dell’Isis invece sono formate da combattenti “regolari”.
Osama Bin Laden voleva un Califfato, lo immaginava come il punto di approdo di un percorso, ma per la sua nascita attendeva il momento propizio affinché ci fosse la giusta unità nel mondo islamico. Abu Bakr al Baghdadi si è invece autoproclamato Califfo dopo aver preso il controllo di alcune zone tra Siria e Iraq.
Il risultato è gli attentati e le stragi di gruppi anche molti diversi (ma accomunati dal fondamentalismo e dal jihadismo) che operano in Nord Africa sono rivendicati dall’IS. Questi gruppi sono di etnia anche molto diverse, e quasi tutti sono sunniti (con l’eccezione del rebus dello Yemen, vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita). In particolare c’è Boko Haram, che opera nel nord della Nigeria, Al Shabaab (In Somalia, Uganda e nord Kenya), il gruppo AQIM (al-Qaeda in the Islamic Maghreb), che opera nell’area Sahariana e Sub Sahariana [vedi mappa fondamentalismo islamico in Africa, a fine articolo].
Il dialogo tra Al Qaeda e IS è comunque complesso oltreché segreto. Da circa un anno, Ayman al-Zawahiri, capo di Al Qaeda dopo la morte di Bin Laden, sembra abbia rotto l’alleanza con l’IS per l’eccesso di cruenza della jihad, ma soprattutto per le divergenze e gli scontri tra i gruppi di Al Qaeda in Siria (a cominciare da quelli di Jabhat al Nusra) e i miliziani dell’IS. Mentre altri gruppi (come Boko Haram) hanno reso pubblica il loro appoggio all’IS.
Situazione sul campo:
Lo Stato Islamico ha come città-base Raqqa, nel nord dell’Iraq, e attualmente ha conquistato il controllo di gran parte del nord Iraq (a esclusione di una striscia di territori curdi), la Siria orientale e un avamposto dell’Iraq centrale, poco a nord di Baghdad.
In Siria l’IS ha stretto alleanze con alcuni gruppi di ribelli sunniti, allargando la propria influenza quasi fino alla Giordania, alla Turchia e al Mediterraneo (vedi mappa dei territori occupati dall’IS, a fine articolo).
Le condizioni di Abu Bakr al Baghdadi, sembrano piuttosto gravi dopo il ferimento causato da un bombardamento. Abdul Rahman Mustafa al-Qardashi, noto con il nome di Abu Alaa al Afri è stato indicato come il prossimo Califfo e, visto che proviene da Al Qaeda, e lo scenario potrebbe cambiare con una collaborazione più stretta con i miliziani qaedisti, soprattutto quelli siriani di Jabhat al Nusra.
Gli Usa l’estate scorsa hanno guidato una coalizione internazionale in Iraq e in Siria ma gli effetti dei raid e delle operazioni militari sul terreno minimi.
I curdi, invece, hanno mantenuto le loro posizioni nel nord est dell’Iraq, perdendo posizioni solo in parte dei loro territori iracheni; hanno perduto parte dei loro territori nel nord della Siria, mantenendo però la roccaforte di Kobane.
Nelle ultime settimane l’Iran ha accresciuto il suo potenziale nella regione e sta attuando un intervento effettivo di contrasto all’ IS, tanto in Siria, quanto in Iraq, dove però i progressi iraniani si scontrano con le scelte della politica americana. Gli USA non sono disposti a concedere all’Iran questo ruolo di primo piano nella lotta all’IS, la cui condotta si intreccia con la crisi in atto nello Yemen (vedi scheda dello Yemen e Arabia Saudita).
Posizioni ufficiali:
Nessun governo è disposto ad appoggiare l’IS in modo ufficiale, sebbene in alcuni Paesi (tra cui l’Arabia Saudita) prevalga un Islam salafita (In Arabia wahabita, che è un’evoluzione del salafismo), ovvero fondamentalista e ci siano reali sospetti di una convenienza dell’esistenza dello Stato Islamico.
Gli Stati Uniti e parte dell’Europa stanno percorrendo in Medio Oriente, in Nord Africa e nella penisola arabica una diplomazia del doppio binario: negoziare sul nucleare con l’Iran, maggiore sostenitore di Assad insieme alla Russia (vedi scheda dell’Iran), e rassicurare con consistenti forniture di armi l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo che da anni combattono contro Teheran una guerra “segreta” in Iraq, in Siria e da qualche tempo anche in Yemen.
La Russia è pronta ad appoggiare un forum di discussione che preveda la partecipazione di tutte le parti in conflitto. Una proposta inclusiva, che è all’opposto dell’approccio esclusivo portato avanti dagli USA in Iraq e dai loro alleati arabi che continuano a bombardare lo Yemen e accusano l’Iran di inviare armi ai ribelli in Yemen.
Il governo di Baghdad (che ormai ha solo il controllo del Sud del Paese e parte del centro) è appoggiato dagli Stati Uniti, dall’Iran e dalla Russia. Il governo siriano di Assad solo dalla Russia e dall’Iran.
Ai curdi la comunità internazionale riconosce solo i diritti civili, senza appoggiare alcun progetto politico (come quello del PKK) di autonomia o indipendenza dei propri territori (anche perché si dislocano in ben 4 Paesi, Iran, Iraq, Turchia e Siria).
Accuse:
I sunniti appoggiano i gruppi jihadisti in Siria come Jabat Nusra e lo stesso Isis che dovrebbe costituire uno stato sunnita a cavallo tra Siria e Iraq per poi essere sostituito, nei piani delle monarchie arabe e della Turchia, da elementi più presentabili sul piano internazionale.
In particolare Turchia e Arabia Saudita paventano la nascita di uno Stato sunnita che occupi le attuali posizioni dell’IS e faccia da “cuscinetto separatore” tra gli sciiti iraniani e quelli siriani.
Sono noti i rapporti che intercorrono tra l’Arabia Saudita e l’IS: i sauditi infatti finanziano il Califfato dall’inizio del conflitto in Siria, oltre che foraggiare altre cellule terroristiche wahabite in tutta l’area mediorientale. Ufficialmente però il governo saudita fa parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti, di cui sono storici alleati.
Per via della guerra in Yemen (non ufficialmente appoggiata dall’Iran) e del recente accordo sul nucleare tra Usa e Iran (vedi schede dello Yemen e dell’Iran), gli Usa e la NATO stanno armando i Sauditi per tranquillizzarli e mantenere salda l’alleanza con loro. È facile quindi che gli equipaggiamenti bellici della NATO arrivino nelle mani dell’IS.
Il comando militare di Hezbollah (sciiti combattenti in Siria e Libano) e le Guardie della Rivoluzione Islamica iraniane, stanno addestrando in Iraq volontari sciiti per combattere l’avanzata dell’IS.
Commento:
L’IS si è sviluppata perché fa comodo a molti governi. Ai sunniti salafiti prima di tutto (Arabia Saudita), ma anche alla Turchia, e agli Usa. Ma usare un manipolo di fondamentalisti assassini per i propri scopi è la cosa più orribile che si possa fare. L’IS deve essere annientato come lo è stato il governo Talebano in Afghanistan. Siccome l’area è ancora più delicata, l’operazione deve essere fatta congiuntamente, da tutte le parti coinvolte.
Ma insieme al regime assassino dell’IS deve scomparire anche il doppiogiochismo di altri regimi: prima di tutti dall’Arabia dei Saud, che per allearsi con l’Occidente dovrebbe abbandonare l’ideologia fondamentalista wahabita.
L’eliminazione dell’ideologia fondamentalista è la base per la pace, ogni appoggio al fondamentalismo dovrebbe cessare soprattutto da chi professa lo stato laico. Se il fondamentalismo non ha più appoggi, ogni velleità svanisce e il delicato assetto del Medio Oriente potrà essere ricostituito sulla base dell’autodeterminazione dei popoli, dimenticando i confini disegnati suo tempo con il righello dai coloni francesi.
Previsioni:
Gli Stati Uniti troveranno un delicato accordo con Russia e Iran per una risoluzione Onu di intervento congiunto in Siria e nel nord dell’Iraq.
Il governo siriano di Bashar al-Assad dovrà quindi lasciare il posto a un governo di transizione, moderato, che accolga in parte le posizioni dei ribelli, senza perdere il proprio potere.
L’IS sarà sconfitto, ma sul terreno ci sarà una morte e una distruzione tale (anche politica e sociale) che la ricostruzione sarà molto dura. Le zone riprese all’IS si divideranno in zone di influenza (russa, usa e iraniana).
Suggerimenti:
Il migliore: 1) Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).
Annettere alla Turchia i territori esterni a maggioranza turca.
(tratto da “J’accuse (e Je suggére). Considerazioni di un Presidente Qualunque”, settembre 2015)
Situazione etnico/religiosa:
l’Iran è lo Stato con la più alta percentuale di islamici sciiti al mondo, inoltre, è il Paese più ricco insieme all’Arabia Saudita (a stragrande maggioranza sunnita), con la differenza che ha un’economia più diversificata e quindi meno petrolio-dipendente. Le due nazioni si contendono quindi il primato islamico e acuiscono il contrasto tra sciiti e sunniti.
Durante la Guerra Fredda si era instaurato un asse Russia-Iran contro l’asse Usa-Arabia. Le alleanze sono sostanzialmente invariate, fatti i debite modifiche della situazione (per esempio Yemen occidentale, Libia e Afghanistan erano nell’influenza sovietica, ora non sono alleate con la Russia).
Solo una piccola parte nord occidentale è a maggioranza curda (al confine con Iraq e Turchia). (vedi mappa etnico-religiosa Iran e mappa sciiti nel mondo islamico, a fine articolo).
Situazione sul campo:
l’Iran è stato il primo governo del Medio Oriente a scendere in campo con lo Stato Islamico per aiutare il liquefatto esercito iracheno allo sbando sotto l’attacco dell’Isis. È ovvio che Teheran insieme agli Hezbollah libanesi (sciiti) rafforza il fronte sciita contro quello sunnita e punta a estendere la sua influenza regionale nel Golfo del petrolio sostenendo anche i ribelli Houthi in Yemen (vedi scheda Yemen e Arabia Saudita).
Nel maggio 2015 il leader siriano Bashar Assad ha incontrato il rappresentante speciale dell’Iran Ali Akbar Velayati, reduce da un colloquio con Hasan Nasrallah di Hezbollah. Le parti hanno firmato una serie di accordi nella sfera economica e in quella della lotta al terrorismo. Assad ha dichiarato che l’Iran è il principale appoggio della Siria nella lotta al terrorismo.
La notizia degli ultimi giorni è che anche la Russia ha deciso d’intervenire contro il terrorismo dell’IS (ma anche contro i ribelli siriani).
Posizioni ufficiali:
evidente l’allineamento Russia-Iran-Siria e il contrasto paesi sciiti e sunniti (contrasti dichiarati a livello ufficiale).
Più ambigui i rapporti tra l’Iran e l’Occidente. Dopo dieci anni di sanzioni internazionali, nel luglio 2015 Stati Uniti hanno da poco firmato un importante accordo con l’Iran riguardo l’utilizzo dell’energia nucleare. Israele e naturalmente tutto il mondo arabo sunnita è molto preoccupato per questo accodo. Detto ciò, va considerato che la comunità internazionale è sempre stata incapace di impedire a uno Stato un programma di sviluppo nucleare. Così è avvenuto per l’Iran, dove l’unica dissuasione possibile è stata quella delle sanzioni internazionali, strumento però che non ha frenato lo sviluppo nucleare e che, in assenza di accordi, potrebbe avere dimensioni più preoccupanti. Inoltre In Iran sono diverse le posizioni e le prospettive del leader religioso l’Ayatollah Ali Khamenei e del presidente della Repubblica Hassan Rouhani, quest’ultimo appartenente a un orientamento moderato e riformista, sta cercando di allargare i diritti nel suo Paese, di farlo crescere dal punto di vista economico e non ha mai nascosto la sua propensione al dialogo con l’Occidente (come del resto fa l’Arabia Saudita).
Gli accordi permettono sia a Stati Uniti e Iran di presentarsi come vincitori, i primi perché potranno contare su controlli che prima non erano possibili, i secondi perché potranno continuare a sviluppare il programma nucleare aprendosi a interessanti prospettive di crescita economica con la fine delle sanzioni.
Accuse:
l’accordo ha creato risentimenti in quasi tutti: la Russia, per lo storico rapporto prediletto con l’Iran, l’Arabia Saudita e i paesi sunniti, per l’esplicito contrasto con il Paese sciita, Israele, che teme attacchi nucleari, e in generale la comunità internazionale ha espresso preoccupazione.
L’Iran è comunque accusato di portare avanti un programma nucleare anche allo scopo di costruire armamenti e naturalmente di non rispettare i diritti civili nel proprio Paese.
Commento:
l’accordo Usa-Iran non è da vedere solo in modo negativo, il rischio che l’Iran arrivi all’armamento nucleare e che lo utilizzi anche come minaccia è remoto (il Pakistan, l’India e la Corea del Nord hanno già missili a testata nucleare, ma esiste tutta una diplomazia che ha fatti sì il nucleare non siano mai più stato usato dal 1945) anche perché dopo la successione di Hassan Rouhani al posto di Mahmoud Ahmadinejad in Iran tira aria di riformismo e di moderazione. Probabilmente questo accordo, anche se sulla carta è rischioso, potrebbe essere l’occasione giusta per recuperare i rapporti con un importante partner dello scacchiere mediorientale e allontanarlo dalle posizioni estremiste e fondamentaliste.
Previsioni:
l’Iran condurrà una guerra all’IS insieme a Russia, Stati Uniti e Francia. L’amministrazione Obama chiuderà le trattative con l’Iran e la Russia e la partita siriana lasciando un’onorevole via di uscita al regime di Assad che eviti al Paese di finire nelle mani dei radicali islamici.
Suggerimenti:
Il migliore: 1) L’Iran ammorbidisce le proprie posizioni politiche e religiose, aprendosi all’Occidente senza rinunciare alla propria autonomia e al rapporto privilegiato con Russia e Siria.
Creare uno Stato di unità nazionale in Siria e uno in Iraq (equilibrio sciiti e sunniti nelle istituzioni, come nell’attuale Libano).
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
In alternativa: 2) Creare uno Stato Islamico, un Paese cuscinetto tra Siria occidentale, Iran e Iraq del sud che comprenda le popolazioni a maggioranza sunnita.
Creare uno Stato indipendente curdo che comprenda i territori dove i curdi sono in maggioranza (parte di Siria, Iraq, Iran e Turchia).
Creare uno Stato sciita dell’Iraq del Sud (o annetterlo all’Iran come compensazione per la creazione dello Stato Islamico sunnita).
Il governo ungherese ha appena annunciato che costruirà una barriera al confine con la Serbia per impedire ai migranti di entrare nel Paese. La recinzione sarà lunga 175 chilometri e alta più di 4 metri. Ecco tutte le barriere esistenti nel mondo (fonte Internazionale.it):
Arabia Saudita–Yemen
Anno di costruzione: 2013
Lunghezza: 1.800 chilometri
Motivo: impedire presunte infiltrazioni terroristiche
Ceuta e Melilla–Marocco
Anno di costruzione: 1990
Lunghezza: 8,2 chilometri e 12 chilometri
Motivo: bloccare l’immigrazione irregolare dal Marocco nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla
Cipro zona greca–zona turca, linea verde
Anno di costruzione: 1974
Lunghezza: 300 chilometri
Motivo: il muro corrisponde alla linea del cessate il fuoco voluto dall’Onu in seguito al conflitto che divise l’isola
Bulgaria-Turchia
Anno di costruzione: 2014
Lunghezza: 30 chilometri
Motivo: arginare i flussi migratori provenienti da est
Iran–Pakistan
Anno di costruzione: 2007
Lunghezza: 700 chilometri
Motivo: proteggere il confine dalle infiltrazioni dei trafficanti di droga e dei gruppi armati sunniti
Israele–Egitto
Anno di costruzione: 2010
Lunghezza: 230 chilometri
Motivo: contrastare terrorismo e immigrazione irregolare
Zimbabwe–Botswana
Anno di costruzione: 2003
Lunghezza: 482 chilometri
Motivo: la motivazione ufficiale è contenere i contagi tra il bestiame ed evitare lo sconfinamento delle mandrie, ma in realtà la motivazione sembrerebbe essere quella di impedire l’arrivo di migranti irregolari
Corea del Nord–Corea del Sud
Anno di costruzione: 1953
Lunghezza: 4 chilometri
Motivo: la divisione delle due Coree in seguito alla guerra del 1953
Marocco–Sahara occidentale, Berm
Anno di costruzione: 1989
Lunghezza: 2720 chilometri
Motivo: difendere il territorio marocchino dal movimento indipendentista Fronte Polisario
Irlanda, Belfast cattolica–Belfast protestante, peace lines
Anno di costruzione: 1969
Lunghezza: 13 chilometri
Motivo: separare i cattolici e i protestanti dell’Irlanda del Nord
Stati Uniti–Messico, muro di Tijuana
Anno di costruzione: 1994
Lunghezza: 1.000 chilometri
Motivo: impedire l’arrivo negli Stati Uniti dei migranti irregolari messicani e bloccare il traffico di droga
Israele–Palestina
Anno di costruzione: 2002
Lunghezza: 730 chilometri
Motivo: impedire l’entrata in Israele dei palestinesi, prevenire attacchi terroristici
India–Pakistan, line of control
Lunghezza: 550 chilometri
Motivo: dividere la regione del Kashmir in due zone, quella sotto il controllo indiano e quella sotto il controllo pachistano
India–Bangladesh
Anno di costruzione: 1989
Lunghezza: 4.053 chilometri
Motivo: fermare il flusso di immigrati provenienti dal Bangladesh, bloccare traffici illegali e bloccare infiltrazioni terroristiche
Pakistan–Afghanistan, Durand Line
Lunghezza: 2.460
Motivo: chiudere i contenziosi territoriali tra i due stati che risalgono all’epoca coloniale
Kuwait–Iraq
Anno di costruzione: 1991
Lunghezza: 190 chilometri
Motivo: arginare un’eventuale nuova invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, dopo la guerra del golfo
L’Arabia Saudita e le altre monarchie del golfo (Giordania, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti e perfino il Marocco) hanno inviato i loro aerei per bombardare lo Yemen. Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan hanno offerto truppe di terra. Gli Stati Uniti (che hanno appena allontanato dallo Yemen le loro ultime truppe) hanno promesso assistenza logistica e d’intelligence.
La tesi è quella dell’appoggio dell’Iran della minoranza sciita Yemenita. Vera o no, gli effetti sono gli stessi: migliaia di civili morti.
Il bilancio è di 137 morti e 345 feriti, un’immane strage, avvenuta ieri a Sana’a, capitale dello Yemen e Sada’a.
Gli attacchi a San’aa sono avvenuti durante la preghiera collettiva del venerdì. Un kamikaze si e’ fatto saltare in aria nella moschea Badr, nel Sud della citta’, e un altro ha seguito il suo esempio all’esterno mentre i fedeli fuggivano atterriti. Un terzo attentatore ha azionato la cintura esplosiva che portava su di se’ nella moschea di Al-Hashahush, nel Nord di Sana’a.
L’ISIS ha rivendicato gli attentati, anche se si nutrono dubbi sulla veridicità di queste affermazioni, che potrebbero fungere da propaganda. Dopo aver tacciato il civile italiano ucciso a Tunisi, pensionato, ex autista di autobus come “Crociato” ci chiadiamo come definiscano i musulmani uccisi ieri.
In ogni caso, come da noi segnalato, in Yemen vi è una deriva jihadista, anche se più precisamente si tratta di una guerra civile “santa” tra sciiti e sunniti, probabile contesto in cui vanno inquadrati questi attentati.
Cresce di ora in ora la tensione nello Yemen.
Al Qaeda nella Penisola arabica ha giurato fedeltà allo Stato Islamico rinunciando a quella al successore di Osama bin Laden, l’egiziano Ayman al-Zawahiri.
Nella capitale Sana’a, in occasione del quarto anniversario della rivolta contro l’ex presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, i ribelli houthi, che controllano gran parte della capitale dopo il recente colpo di Stato, hanno rafforzato la presenza militare nei luoghi simbolo della rivoluzione, in particolare a piazza Taghyeer (Cambiamento), ma resta alto il rischio di incidenti. Nei giorni scorsi, infatti, su Facebook è partita una campagna per trasformare l’anniversario della rivolta in una manifestazione anti-houthi, accusati di essere alleati di Saleh.
Chiuse temporaneamente molte ambasciate europee.
Un articolo preso da “Lettera 43” che qundi ringraziamo e invitiamo a visitarlo.
Montagne di sigarette bruciate, roghi di libri blasfemi, persino il divieto di ridere in strada.
Ma c’è di peggio nei territori controllati dall’Isis, o Daesh, come in arabo si chiamano i jihadisti dello Stato islamico.
Omosessuali gettati dal tetto, oppositori religiosi (anche musulmani) sgozzati o crocefissi, ragazzi fucilati in pubblico per aver guardato una partita di calcio in tivù: gesti continuamente riportati – spesso per immagini – dalle cronache dei media, per loro convintamente normali.
Non solo nel Nord dell’Iraq e della Siria. L’applicazione più estrema della sharia (legge islamica), in atto tra i talebani iconoclasti dell’Afghanistan e del Pakistan – il leader del gruppo della distruzione dei Buddha è lo stesso della strage di bambini alla scuola di Peshawar – è prassi in ogni fortino o lembo di territorio controllato da gruppi dell’Isis.
DECAPITAZIONI A CATENA. Nel Califfato di Derna, in Libia, come a Raqqa, capitale siriana dello Stato islamico, le teste degli infedeli, takfir, vengono tagliate.
In Egitto, nel Sinai infestato dagli affiliati di al Qaeda, casa madre ripudiata dall’Isis, si rapisce e decapita come nella Cabilia algerina, di rimpetto al Mediterraeno.
O a Sud, nel Mali dove le teste dei tuareg finiscono sui banchi del mercato. In Nigeria, i jihadisti pro Isis di Boko Haram massacrano migliaia di civili.
Da Mosul, capitale irachena dell’Isis, è rimbalzato il tweet con la foto di un omosessuale gettato dal tetto per sodomia, davanti a una folla di voyeur partecipi. O se non altro testimoni della sua morte.
Coperto da un passamontagna l’uomo è precipitato nel vuoto dopo che, a terra, un jihadista incappucciato aveva letto la sentenza delle corti islamiche.
Non è la prima volta. Dopo la proclamazione del Califfato, nel giugno 2014, lo Stato islamico ha regolarmente giustiziato gay, lanciandoli dagli edifici o lapidandoli.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organo di propaganda dei ribelli con base a Londra, ha denunciato la morte a pietrate di due ragazzi, a Deir Ezzor, per «atti indecenti con i maschi».
Diverse lapidazioni sono state compiute dall’Isis, in Siria e in Iraq, su donne accusate di adulterio, giustiziate anche dai qaedisti rivali di al Nusra.
Altre decine, almeno 150 secondo il ministero per i Diritti umani di Baghdad e in maggioranza curde-yazide, sono state vittime di esecuzioni, nella provincia irachena di Anbar, per il loro rifiuto di sposare i jihadisti dopo la deportazione e riduzione in schiavitù.
Un rapporto delle Nazioni unite ha confermato che nello Stato islamico le donne vengono rapite e rivendute come schiave: l’Isis ha anche pubblicato un tariffario.
E in Rete è circolato un video di una donna accusata di adulterio a Hama, nella Siria centrale, lapidata dal padre con i jihadisti. «Ciò che succede adesso è il risultato di quello che hai fatto», rivendicano i boia.
La lapidazione è una sentenza autorizzata ed eseguita in Stati islamici di stretta interpretazione wahabita del Corano, come l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, gli Emirati arabi, lo Yemen, il Sudan, la Somalia e la Nigeria.
Le vittime sono, in genere, donne punite per l’adulterio o la gravidanza fuori dal matrimonio, anche nei casi di stupro.
Oltre alle lapidazioni, il medesimo gruppo ha diffuso in Rete le notizie di oppositori, anche musulmani, giustiziati e talvolta crocifissi, per essersi rifiutati alla conversione o per altri reati.
Diversi cittadini dello Stato islamico sono stati esposti crocifissi, alla mercé della folla.
È il caso di alcuni «ladri di Mosul» o di una presunta «spia anti-Isis» di Aleppo, legata sulla croce, sgozzata dal boia e da lì trasportata in strada, come in processione, come ha documentato il sito di intelligence Site, che monitora i network islamisti.
Online, l’Isis ha diffuso un suo «codice penale» che prescrive la pena di morte per blasfemia, sodomia e spionaggio, anche se pentiti. Lapidazione per l’adulterio. Morte e crocifissione per omicidi e rapinatori.
Per reati come il tradimento prematrimoniale «100 frustate e l’esilio». Per piccoli furti e frodi varie vale la legge del taglione (amputazione di una mano e/o una gamba). Decine di frustate per chi invece beve alcolici, si droga, diffama o si diverte.
Ad Aleppo, in Siria, i jihadisti hanno spaccato gli strumenti musicali e bastonato i loro possessori.
In Libia, chi è in fuga da Derna racconta di «montagne di sigarette bruciate e del divieto di ridere in strada dei folli dell’Isis».
Un soldato è stato decapitato e i drogati o chi beve sono incatenati e frustati nei centri di disintossicazione.
Non aiuta a frenare il flusso dei sunniti nell’Isis l’invito alle donne del vice premier turco, moderato islamico Bülent Arinç (Akp), di «non ridere in pubblico».
E su quest’ultimo divieto ci sarebbe da riflettere: un regime che vieta di ridere in pubblico sa, profondamente, che c’è solo da piangere.
ATTENZIONE! Il video è violento e potrebbe offendere la sensibilità di qualcuno e sopratutto se siete minori allontanatevi da questa pagina.
Siamo a una festa di matrimonio in Yemen. No more comment (ma ce ne sarebbe da dire a non finire: amore per le armi, virilismo/maschilismo spocchioso che nasconde impotenza fisica, canzoni fatte per istupidire e non pensare…)
Gangnam Style
Il bilancio, ancora provvisorio data la gravità delle condizioni di molti dei feriti, parla di almeno 96 morti e oltre 200 feriti, alcuni dei quali con gli arti strappati o con lesioni cerebrali che li lasceranno paralizzati: con un attentato senza precedenti nella capitale Sana’a durante le prove di una parata in programma martedì, al Qaeda ha dato oggi la sua risposta ad una offensiva del governo dello Yemen che da mesi sta cercando di riconquistare vaste aree nel sud del Paese sotto il controllo dell’organizzazione terroristica.
È di almeno 26 morti, tutti membri della guardia presidenziale, il bilancio di un attacco sferrato in Yemen da un kamikaze su un auto esplosa davanti alla residenza presidenziale di Mukalla.
Il nuovo presidente Abde Rabbo Mansour Hadi, ha prestato oggi giuramento davanti al Parlamento.
Oggi in Yemen, a Sana’a, la polizia fa fuoco sulla folla in protesta: 4 morti
In Siria, a Damasco, ucciso un noto attivista pacifico e altri 5 morti tra cui un bambino di 9 anni.
Il movimento degli indignati e Occupy Wall Street contro gli abusi della finanza, il precariato e le ricette anti-crisi della politica ha esportato la protesta in 951 città di oltre 80 Paesi.
In Malaysia a Kuala Lumpur e a Singapore interrotto il corteo dlla polizia che ha fatto sgombrare le piazze.
In Italia 70 feriti e 12 arrestati a causa delle violenze Black Bloc da cui il corteo prende le distanze.
Come andare a cena in gruppo e lamentarsi perché bisogna pagare il conto di alcuni che se ne sono scappati prima.
Premesso che a Roma si è assistito a una guerra tra poveri (black bloc vs forze dell’ordine) e che i tafferugli dovrebbero semmai spostarsi nei veri centri di potere (Montecitorio anziché le vetrine), c’è da chiedersi:
– Perché le violenze dei Black Bloc, notoriamente internazionali, si sono verificate SOLO in Italia?
– Qual è la differenza tra le violenze dei Black Bloc e quelle della Primavera araba?
Ci sono violenze che vanno bene e altre no, evidentemente, come sempre noi abbiamo sostenuto. Il discriminante è la democrazia. In un Paese democratico non si può fare violenzae “deturpare l’arredo urbano”, quindi Berlusconi, democraticamente eletto dal 1994 (tranne la breve parentesi di Prodi), è legittimamente al governo, pur con il conflitto di interessi aggravato dal fatto che riguarda le telecomunicazioni e i legittimi impedimenti che lo costringono a non farsi processare. Quindi nessuno (o pochi) in Italia sostengono che ci sia emergenza democrazia.
Fine delle proteste, tutti a casa, Berlusconi vada avanti fino al 2013 perché, naturalmente, si parlerà tanto, ma nessuno ascolterà le ragioni degli indignati.
Oggi, 15 ottobre 2001, in tutto il mondo si svolgeranno manifestazioni, in Italia a Roma ci saranno gli “Indignados” italiani, o meglio i “Draghi Ribelli”. Ci sarà chi si definisce “Tea Party”, richiamandosi al “Tea Party Movement” statunitense, e forse si vedranno scene alla “Consumer Riots” del Regno Unito. Una pletora di (nomi di) movimenti non si sentiva dal “Seattle Movement” del 1999.
In quell’epoca usciva il libro “No Logo” della canadese Naomi Klein e questo titolo ha dato il nome al movimento stesso, che prima si chiamava semplicemente “No-Global”, e successivamente “Neo-Global”.
Ancora oggi le proteste statunitensi per l’occasione proclamatesi “Occupy Wall St” si rifanno al modello “No Logo”. Per l’Europa c’è qualcosa di diverso. Da un lato l‘influenza della “Primavera araba”, delle rivoluzioni in Tunisia, Egitto, Siria e Yemen e le proteste in quasi tutti gli altri Paesi arabi, compresa quella pacifica del Maghreb, che ha influenzato gli “Indignados” spagnoli. Dall’altro una protesta più trasversale, meno politica, più vicina ai Consumer Riot inglesi e ai movimenti contro la “casta parlamentare” in Italia.
Senza andare a chiedere se la loro ispirazione è neomarxista, anticonformista o giacobino (alcuni non sanno di esserlo), basta vedere come si vestono: i vestiti, i loro accessori, le loro telecamere sono spesso griffate (quidi “Sì Logo”).
Probabilmente oggi a Roma il grosso sarà comunque formato dalle sigle della sinistra attiva (Arci, Attac Italia, Cobas, Cub, Federazione Anarchica Italiana, Federazione della Sinistra, Gruppo Abele, Il Popolo Viola, Legambiente, Partito comunista dei lavoratori, CGIL, Sinistra Ecologia Libertà, Sinistra Critica, Snater, USB, eccetera) e dai centri sociali, ma non mancheranno movimenti all’insegna del “No Flag”, che non si presenteranno sotto alcuna bandiera o simbolo (ma con le loro Nike fabbricate in Corea, lo zainetto Invicta e la telecamera Panasonic).
Vedremo sul campo la sensazione che si avrà: se prevarrà l’aspetto politico neomarxista o un’eterogeneità di cittadini. Nel primo caso il movimento rischierebbe di mostrare la solita immagine, quindi un movimento che si rinnova solo nei nomi, e non nei contenuti. Dall’altra, a parte dei limiti culturali e alcune contraddizione che andrebbero con il tempo superate, credo che sarebbe comunque una dimostrazione che il movimento è spontaneo e non si scaglia contro un’idea, ma, pragmatica come solo i politici sanno essere, protesta contro la contingenza politica che, Paese per Paese, ha le sue peculiarità.
Di positivo, prima ancora che cominci, c’è il fatto che gli organizzatori coordineranno spostamenti ed eventuali allerte grazie a Twitter su cellulare. Credo sia la prima volta in Italia, una vera web riot!
È stato ucciso oggi in Yemen l’imam Anwar Al Awlaki vicino agli ambienti di Al Qaeda e considerato da alcuni il successore di Osama Bin Laden.
Si crede che fu lui a reclutare Umar Farouk Abdulmutallab, il giovane nigeriano meglio noto come l'”attenatore delle mutande”, che nel dicembre 2009 fallì l’attenanto a bordo dell’Airbus A330 in volo da Amsterdam a Detroit nascondendosi un ordigno, appunto, nelle mutande.
A Sana’a, nello Yemen, sono morte almeno 56 persone (cinquantasei!) tra domenica e ieri, secondo medici e testimoni, dopo le dimostrazioni per chiedere la fine dei 33 anni di regime del presidente Ali Abdallah Saleh.
Oggi alcuni razzi e molti colpi di artiglieria hanno colpito un campo di manifestanti.
In pratica, come Tunisia, Egitto, Libia e Siria.
I media europei e italiani sostanzialmente ignorano la notizia, in Italia nelle prime “pagine” dei Tg ci sono nuovamente Sarah Scazzi e Melania Rea e il circo pietoso della collusione sessuale tra spettacolo e politica. Del 56 arabi morti per la propria libertà interessa poco o niente. Questo è il giornalismo televisivo occidentale?
Parliamo della guerra civile in Siria, dopo il massacro di Hama, dove sono state uccise più di cento persone. Noi avevamo già segnalato la leggerezza con cui i governi occidentali e i media sembravano affrontare la questione, usando i termini di “rivolta siriana”. Ma bisognava arrivare ai massacri pubblici per convincerli di ciò che avevamo già capito da subito.
Ora, la guerra civile siriana somiglia tanto a quella libica prima dei raid della Nato.
Facciamo una previsione. Entro un mese la Nato comunicherà le nuove coordinate alle proprie flotte, che dalla Libia si sposteranno nei cieli di Siria, scaricando nuove bombe con le stesse modalità.
I segnali ci sono tutti: i governi occidentali hanno cominciato a richiamare gli ambasciatori e qualcuno ha già paventato un ultimatum.
In fondo sarebbe una nuova opportunità per vendere un sacco di materiale bellico invenduto che potrebbe risollevare un po’ la disastrosa congiuntura economico-finanziaria…
Bashar al Assad come Gheddafi, insomma: prima un normale referente diplomatico, adesso un criminale da eliminare dallo scacchiere mondiale.
Ora: immagino che chi appoggia la guerra in Irak, in Afghanistan e in Libia appoggerà anche quella in Siria e perché no in Yemen… e poi?
P.S. Ci teniamo a precisare che la nostra posizione nei confronti di Assad come per tutti i governi non eletti democraticamente, o eletti democraticamente ma che governano in modo autoritario è di totale disapprovazione.
L’esercito siriano ha scoperto una fossa comune contenente i cadaveri di alcuni esponenti delle forze di sicurezza a Jisr al-Shughur, la citta’ controllata dai ribelli dove oggi sono entrati con i carri armati i militari.
Comprendiamo come i media di massa debbano scegliere le notizie, soprattutto alla luce dei numerosi avvenimenti che la Primavera Araba sta provocando in Paesi come Libia, Yemen, Iran e Siria, nonché di episodi europei (come gli indignados cui aggiungerei gli “indignati italiani” delle elezioni amministrative e del referendum). Ma voi siete assolutamente consapevoli della preferanza assoluta di futili cronachette nere (Sarah Scazzi, Yara Gambirasio, Melania Rea e Matthias Schepp) rispetto a questo tipo di notizie?
Basta la consapevolezza. Quella che potrebbe espandere il parziale ammutinamento elettorale anche verso i media.
Come per esempio una bella protesta fuori degli studi televisivi di questi sudici, sozzi, patetici produttori televisivi.
Dopo le guerre civili di Tunisia, Egitto e Libia e la rivoluzione repressa nel sangue in Siria, ora anche in Yemen è guerra civile.
Ieri oltre 40 morti a seguito degli scontri in corso a Sana’a tra le forze del regime e quelle della tribù più potente del Paese, gli Hashid, guidata dallo sceicco dissidente Sadiq Al-Ahmar, di cui il presidente Ali Abdullah Saleh ha ordinato l’arresto. Ma i morti negli ultimi giorni sono molti di più.
Noi condanniamo la repressione del regime yemenita e appoggiamo i ribelli (come in Tunisia ed Egitto) e ribadiamo la condanna dei regimi di Libia e Siria.